Le statistiche sono chiare. Il 99% delle persone che negli ultimi cinque anni hanno visualizzato un video a luci rosse, lo ha fatto collegandosi ad internet. Mentre svolgiamo le nostre attività quotidiane circa 30 milioni di individui consultano un sito porno, tuttavia, il settore si dichiara in crisi. Questo perché la rete mette a disposizione foto, video e altri contenuti, in maniera totalmente gratuita in cambio di qualche banner pubblicitario finanziatore.
I siti hot raggiungibili da PC, o in modalità mobile, sono circa 30.000.000 e rappresentano il 15% della rete globale. Stando a una ricerca di Extreme Tech del 2012, circa il 30% del traffico internet totale sarebbe, infatti, finalizzato alla visualizzazione di contenuti riservati agli adulti. Le piattaforme dedicate alla distribuzione di contenuti porno sono tantissime e tutte registrano dati a dir poco strabilianti. Da solo Xvideos conta circa 5 miliardi di visite ogni mese; un dato che doppia la nota Wikipedia, ma non è l’unico. Mind Geek, una società di origine canadese fondata nel 2007 non è da meno; si tratta di una piattaforma che gestisce circa cento siti che, a quanto pare, registrano più accessi di colossi quali Facebook, Amazon e Twitter. Mind Geek mette a disposizione degli utenti, i cosiddetti tube sites, che imitano, nella forma, il parente senza peccato You Tube. PornHub, YouPorn e RedTube (per citarne alcuni) sono i maggior “distributori” di pornografia a buon mercato.
Nella classifica dei cento siti più visitati, Alexa – che monitora il traffico internet- elenca la bellezza di ben tre siti a luci rosse: XVideos al 43° posto, XHamster al 66° e PornHub al 76°. Nonostante i grandi numeri, però, il mercato non riscuoterebbe grande successo economico. Le statistiche di settore, purtroppo, sono poche e poco precise poiché molte delle società interessate non sono quotate in borsa e, dunque, non costrette a pubblicare i loro bilanci. Secondo i dati elaborati dalla CNBC, tuttavia, nel 2012 a livello globale la “fabbrica del porno” avrebbe fatturato circa 14 miliardi di dollari, tutti o quasi, registrati con le vendite di filmati.
Il ghiotto bottino è goduto da poche case produttrici che si adoperano ancora in maniera tradizionale ingaggiando attori per la realizzazione del film che verrà poi distribuito sul mercato. Sino a qualche anno fa l’erogazione dei contenuti avveniva tramite la vendita di DVD e nei Sexy Shop, oggi, grazie alla banda larga, si distribuiscono on line. Internet, tuttavia, è come una medaglia a due facce. Se da un lato ha permesso la distribuzione più fluida dei contenuti, dall’altro ha costretto le industrie a rivedere i propri piani. I colossi del web, infatti, mettono on line contenuti di ogni genere, sia filmati amatoriali che parti di registrazioni professionali, queste ultime, non di rado, distribuite in modalità pirata per la gioia delle case di produzione. Se per le caste case discografiche e cinematografiche è difficilissimo battagliare con la pirateria on line, per l’industria del porno è pressoché impossibile tutelare i propri interessi a causa della natura dei contenuti stessi. Bigottismo? Disinteresse? Fatto sta, che tali contenuti sono difficili da difendere dalla classe politica con una legislazione ad hoc.
La crisi si legge nei dati, se nel 1998 il business del porno valeva più di quello di Hollywood le cose oggi sono cambiate. Agli Oscar del Porno degli ultimi anni a Las Vegas si è registrata la presenza di 4 o 5 case di produzione contro una ventina del 2002. Come nella maggior parte dei casi a subire gli effetti della crisi sono gli ultimi elementi della catena: gli attori. Se qualche anno fa ogni attrice percepiva circa 1.000 dollari a scena oggi ne guadagna la metà. Gli operatori di settore, dunque, messi in ginocchio, si arrangiano come possono, è il caso degli attori della San Fernando Valley in California, patria del porno che, per arrotondare si dedicano alle web cam o ad attività border line. Le web cam a luci rosse possono costare anche 5 dollari al minuto, di cui il 40% resta alle attrici e il restante a chi gestisce la piattaforma. Oltre a questo stratagemma usato per lo più dalle donne, si registra che molti degli attori, meno intraprendenti, diventano escort e li si può ritrovare sui siti che forniscono il servizio.
Tornando ai pesci grossi, pare che Mind Geek, approfittando della crisi del mercato, abbia acquistato a basso costo produttori di alto profilo come Brazzers e Digital Playground ciascuno dei quali gestice decine di siti. Mind Geek, dunque, da un lato paga i produttori, dall’altro potrebbe piratarli, come in una sorta di circolo vizioso che non giova di certo al mercato. I ricavi provenienti dalla pubblicità vengono, infatti, intascati da Mind Geek e non riempiono le tasche delle case produttrici. Un sistema del genere, dunque, potrebbe continuare ad esistere soltanto se i TibeSites accolgano i produttori che offrono materiale a pagamento come nel caso di PornHub detenuto dalla stessa Mind Geek.