Dalla materia prima che sia espressione diretta e sincera del terroir di provenienza al ricorso a prodotti consentiti in agricoltura biologica, dal rapporto virtuoso con collaboratori, dipendenti e altri produttori alla tutela della biodiversità, fino alla salvaguardia del paesaggio. Il Manifesto Slow Food per il vino buono, pulito e giusto presentato oggi a BolognaFiere, in occasione di SANA, racchiude in dieci punti ciò che, per l’associazione della chiocciola, significa il mestiere del vignaiolo, inteso non più solo come produttore di vino, ma anche come motore attivo per un’agricoltura che promuova una crescita culturale, economica e sociale, etica e armonica sul territorio.
Per comprendere l’origine di questo Manifesto occorre tornare indietro di 13 anni, al 2007, quando a Montpellier si riunivano i Vignerons d’Europe, i vitivinicoltori del Vecchio Continente. Al termine di quelle giornate di incontro nasceva un documento con cui affermavano i capisaldi della produzione slow. Ora ci si apre a tutto il mondo e il nuovo documento si arricchisce, prendendo in considerazione tutto il complesso di relazioni che genera il lavoro del vignaiolo.
«Il senso del nostro Manifesto è trattare il vino come qualcosa che vada oltre al bicchiere e che includa ambiti di importanza strategica per lo sviluppo del nostro Paese» ha spiegato Giancarlo Gariglio, curatore della guida Slow Wine insieme a Fabio Giavedoni, nel corso del convegno di lancio del Manifesto tenutosi a Bologna in occasione di SANA Restart. «In questa fase storica abbiamo compreso che nessuno sopravvive da solo, che sia una grande impresa, un’associazione con migliaia di iscritti, una piccola azienda o una famiglia. Mai come ora il concetto di comunità ha assunto un valore universale – ha aggiunto Gariglio – Il decalogo presentato oggi è il documento fondativo di una comunità che spero possa crescere e ramificarsi, una comunità che accomunerà tutti gli amanti del vino: quelli che lo fanno e chi, apprezzando questi vini, valorizza e ripaga le loro fatiche quotidiane».
«Il Manifesto Slow Food per il vino buono, pulito e giusto contiene tutti valori fondanti dell’approccio biologico, come il rispetto del suolo, il rifiuto dei pesticidi, la difesa della biodiversità» ha dichiarato Maria Grazia Mammuccini, vignaiola e presidente di FederBio. «In questo senso sono certa che l’esperienza accumulata negli anni dal bio e dal biodinamico possa essere particolarmente utile ai produttori che vogliono aderire a questo documento il cui punto di forza è certamente la centralità del viticoltore, anche dal punto di vista etico».
«Fare il vino è uno dei mestieri più belli che si possano fare, perché consente di esprimere i propri valori attraverso il lavoro della terra – ha aggiunto Mammuccini – È però importante superare la fase storica nella quale si è pensato che fosse possibile produrre in qualsiasi modo: per dare sostanza a quei valori non si può non partire dal rispetto della terra e delle persone».
«Il manifesto è frutto di una riflessione collettiva a cui in questi anni hanno dato il loro apporto molti produttori, non è un ricettario calato dall’alto» ha dichiarato Maurizio Gily, agronomo, giornalista e già direttore di Millevigne, il periodico dei viticoltori italiani. Alla base del decalogo, naturalmente, il concetto di viticoltura sostenibile: «Significa conservare le risorse – suolo, aria, acqua – affinché non ne siano private le generazioni future, senza trascurare la sostenibilità economica, né quella etico-sociale. Non è sostenibile un’azienda certificata biologica che rispetta i protocolli colturali ma sfrutta il caporalato o non paga i fornitori. Non c’è sostenibilità senza etica» ha continuato Gily.Da Saverio Petrilli, vignaiolo, enologo, fondatore e consigliere della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti (FIVI), è arrivato l’appello a recuperare «gli aspetti più importanti del mestiere del vignaiolo: la socialità e la ruralità. Sono sentimenti essenziali, hanno storicamente caratterizzato la vita e il lavoro della campagna, eppure oggi li stiamo perdendo. Il mio invito è a mantenere quel modello di vita, coniugandolo al mondo moderno. Niente quanto il vino crea socialità, ed è dal vino che dobbiamo ripartire».