In una proficua collaborazione tra la Graphene Flagship e l’Agenzia spaziale europea (ESA), gli esperimenti che testano il grafene per due diverse applicazioni spaziali hanno mostrato risultati estremamente promettenti. Sulla base di questi risultati, il consorzio europeo Graphene Flagship continuerà a sviluppare dispositivi in grafene da utilizzare nello spazio. Coinvolti con un ruolo importante il Consiglio nazionale delle ricerche e Leonardo Spa.
“Il grafene com’è noto ha molte opportunità e una di queste, riconosciuta fin dall’inizio, è rappresentata dalle applicazioni spaziali. Questa è la prima volta che il grafene viene testato per applicazioni spaziali, a livello mondiale”, afferma Andrea Ferrari dell’Università di Cambridge, responsabile scientifico e tecnologico della Graphene Flagship.
Le eccellenti proprietà termiche del grafene sono infatti promettenti per migliorare le prestazioni dei tubi di calore (noti come loop heat pipes), sistemi di gestione termica utilizzati nelle applicazioni aerospaziali e satellitari. Il grafene potrebbe anche essere utilizzato nella propulsione spaziale, grazie alla sua leggerezza e alla forte interazione con la luce. La Graphene Flagship ha testato entrambe queste applicazioni in due recenti esperimenti eseguiti tra novembre e dicembre 2017.
Il componente principale dei tubi di calore è un elemento di metallo poroso, in cui il calore viene trasferito da un oggetto caldo a un fluido che raffredda il sistema. Due diversi tipi di grafene sono stati testati per ricoprire il metallo e rendere il trasferimento di calore più efficiente. L’esperimento è una collaborazione tra istituti di ricerca e industria, con un contributo italiano fondamentale: partecipano infatti l’Istituto per la sintesi organica e la fotoreattività (Isof) e l’Istituto di microelettronica e microsistemi (Imm), entrambi del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr); il Microgravity Research Center, Université libre de Bruxelles, Belgio; il Cambridge Graphene Centre, Università di Cambridge, Regno Unito; e un partner industriale del calibro di Leonardo Spa, leader mondiale nel settore aerospaziale, che opera nei sistemi spaziali e nella produzione di strumenti ad alta tecnologia e nella gestione dei servizi di lancio e in orbita e dei servizi satellitari.
“Quello a cui puntiamo è una maggiore durata e una migliore autonomia dei satelliti e delle sonde spaziali. Aggiungendo il grafene, avremo un tubo di calore più affidabile, in grado di operare autonomamente nello spazio“, ha affermato Marco Molina, direttore tecnico del settore aerospazio di Leonardo.
Nei laboratori del Cnr di Bologna è stato realizzato il cuore in grafene del dispositivo: “Il metallo poroso è stato rivestito con una schiuma a base di grafene: si crea così la struttura di una ‘schiuma all’interno di una schiuma’ col vantaggio di una aumentata superficie di scambio di calore tra il liquido e il materiale poroso“, spiega Vincenzo Palermo di Isof-Cnr e vicedirettore della Graphene Flagship.
Dopo eccellenti risultati nei test di laboratorio, i cuori in grafene sono stati testati in condizioni di gravità zero in due campagne di volo parabolico dell’ESA, in novembre e dicembre. “Abbiamo testato i materiali in condizioni più realistiche e vicine al loro utilizzo finale, facendoli funzionare in condizioni di bassa gravità e anche in condizioni di ipergravità, per simulare il lancio di un satellite”, prosegue Vincenzo Palermo. Nel volo parabolico, mentre l’aereo segue una traiettoria parabolica si hanno 20-30 secondi di assenza di peso, e si sperimenta fino al doppio della .
I risultati del volo parabolico confermano i miglioramenti apportati dall’aggiunta di grafene, e la Flagship continuerà a sviluppare simili dispositivi basati sul grafene puntando a un prodotto commerciale. “Questo è un bell’esempio di come funziona il consorzio Graphene Flagship. Riunire tre soci accademici e una grande industria con un obiettivo chiaramente definito per un’applicazione”, afferma Vincenzo Palermo. “Fin qui abbiamo testato il principio di funzionamento e il cuore del dispositivo. Il prossimo passo sarà quello di ottimizzare l’intero apparato e avere un tubo di calore completo e operativo che può andare in orbita su satellite“.
Un secondo esperimento ha testato il potenziale del grafene per la cosiddetta propulsione spaziale. Concepito dal team GrapheneX, un gruppo di studenti di dottorato della Delft Technical University (TU Delft), Paesi Bassi, che ha pensato di verificare la possibilità di usare il grafene nelle vele solari, testando come delle membrane di grafene si comportano sotto la pressione di luce laser. L’esperimento è stato eseguito in condizioni di microgravità presso la ZARM Drop Tower di Brema, in Germania: una torre di 146 metri dove una capsula contenente l’esperimento viene lanciata verso il basso, consentendo di avere circa 10 secondi di assenza di peso, fino a un milionesimo della forza gravitazionale terrestre. “Il nostro esperimento è come un complicato meccanismo a orologeria in cui ogni componente deve funzionare perfettamente al momento giusto”, ha dichiarato Rocco Gaudenzi, italiano ora dottorando a Delft e parte del team GrapheneX. “Abbiamo costruito da principio un meccanismo molto complesso e che non era possibile testare in anticipo ma solo durante il lancio stesso“. “Siamo stati quindi molto soddisfatti quando abbiamo osservato il movimento indotto dal laser su una ‘vela’ di grafene e, soprattutto, abbiamo vissuto un’esperienza entusiasmante!”. L’esperimento è concluso, ma il team sta valutando un nuovo e ambizioso progetto di ricerca per continuare a esplorare la possibilità di sviluppare vele solari in grafene.