Questa settimana “Il Galantuomo” muove i suoi primi passi nella letteratura Russa attraverso la recensione di uno tra i più celebri dei racconti di Gogol’: “Il Cappotto”. Intellettuale puro e letterato vero, Gogol, è considerato dalla maggior parte della critica come il maestro del “realismo” e tra i padri dell’intera letteratura Russa. Autore di svariati racconti drammatici, commedie e di un romanzo ( Le Anime Morte, 1842 ), Gogol’era solito, attraverso i suoi lavori, raccontare aspetti della vita percepiti secondo la loro crudezza applicandovi una chiave di lettura comica e grottesca. Ecco perché lo stesso Dostoevskij ebbe a dire: “Siamo tutti usciti dal Cappotto di Gogol'”, per testimoniare l’importanza che egli ha avuto sulle future generazioni di scrittori russi
Il racconto è ambientato nella San Pietroburgo del secolo XIX ed ha come protagonista l’impiegato Akakij Akakievic. Figlio unico ed appartenente ad una famiglia di umili origini, Akakievic conduceva una vita solitaria, mediocre e priva di aspirazioni, scandita da una perpetua monotonia tra i luoghi del suo ufficio e la sua vetusta dimora. Era ignorato per buona parte della sua vita e deriso per la rimanente. Non possedeva nulla se non il suo lavoro, consistente nel ricopiare documenti, e non aveva beni materiali nè tantomeno affetti ed amicizia, ed anche dal punto di vista caratteriale, il personaggio, è descritto come una persona profondamente riluttante a qualsiasi forma di avvicinamento verso il prossimo. Un giorno, schernito nuovamente dai colleghi per il suo cappotto, l’impiegato Akakievic si recó da un sarto per chiedergli di rammendarlo, ma quest’ultimo rifiutandosi di ripararlo poiché ormai troppo logoro gli propose, come unica soluzione, quella di commissionarne uno nuovo. Dopo giorni e notti insonni, passate unicamente a pensare sul come racimolare una somma cosi ingente di denaro, Akakievic si convinse ad affrontare la spesa più folle della sua vita, rinunciando a tutto, pur di risparmiare il denaro necessario e comprare un nuovo cappotto. Il suo nuovo acquisto ebbe un effetto inaspettato nella vita dell’impiegato, che per la prima volta riusciva a sentirsi importante e persino ad ottennere la considerazione dei propri colleghi. Il caso volle che una sera, di ritorno a casa, il cappotto gli fosse rubato. Non riscontrando l’aiuto sperato dalle forze dell’ordine, decise di rivolgersi, su consiglio di un collega, ad un “pezzo grosso” degli uffici ministeriali, un tentativo che, anche in questo caso si rivelò infruttuoso. Insultato, deriso, maltrattato e fustrato dalla sua condizione, Akakievic si ammalò di una febbre violenta che lo uccise, e divenuto uno spettro, iniziò a vagare per le strade di San Pietroburgo sfilando opulenti cappotti dalle spalle dei passanti.
Dal racconto emergono chiaramente le numerose contraddizioni del sistema burocratico del tempo: una complessa macchina con lo scopo principale di imprimere ed affidare potere ai singoli, attraverso una spaventosa stratificazione gerarchica, e di mortificare i propri subalterni. In considerazione della chiara venatura satirica di queste pagine, non è certamente difficile, soprattutto per le generazioni contemporanee, riscontrare caratteristiche “fantozziane” nel personaggio protagonista, anzi, già ad una prima lettura le similitudini sono evidenti. Sembrerebbe proprio che anche il ragionier Ugo Fantozzi sia uscito dal cappotto di Gogol’. Nel finale il racconto si confonde con il genere fantastico, tramutando il protagonista in uno spettro che, in maniera dispettosa, cerca la sua rivincita sottraendo agli altri, ciò che in vita era stato ingiustamente sottratto a lui. Sembra plausibile l’interpretazione secondo la quale, Gogol’ abbia voluto donare al racconto una forma di speranza verso coloro che versino in una situazione analoga, verso le persone sole, gli emarginati e i ripudiati da una certa società offrendo loro una piccola opportunità di vendetta, non in questa vita, ma in quella successiva.
Nonostante la lunghezza non eccessiva del testo (circa 20 pagine), il racconto è completo sotto ogni punto di vista. Luoghi e personaggi sono descritti amabilmente con una vena satirica che, durante la lettura, riesce a far sorridere il lettore in più di un’occasione, una qualità non trascurabile per le opere appartenenti al genere. Il dialoghi sono usati raramente, fatta eccezione per un serrato e divertente scambio di battute tra il protagonista ed il sarto, privilegiando la narrazione in terza persona dal principio alla fine. Uno stile molto amato da tutti gli autori dell’epoca. Anche se solo un racconto, “il Cappotto” mostra pienamente tutte le qualità artistiche ed il talento del suo autore, offrendo al lettore un’idea di Gogol’ molto adiacente a quanto lui fosse realmente, ossia un grande scrittore e ed un encomiabile commediografo e drammaturgo.
Antonio Vetrano