Di recente sulla rivista Astrobiology è stata pubblicata la European Astrobiology Roadmap, con cui gli esperti provenienti da diversi istituti (tra cui l’INAF) e università europee hanno esaminato lo stato dell’arte del comparto astrobiologico producendo la prima tabella di marcia europea per la ricerca astrobiologica. L’astrobiologia è intesa come lo studio delle origini, dell’evoluzione e della distribuzione della vita nell’Universo, e ciò include anche l’abitabilità nel Sistema solare. Il documento si basa su 5 punti fondamentali e ne parliamo con John Brucato, astrofisico ed esobiologo dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Arcetri.
Di cosa parla il documento? Quali i punti cardine della strategia europea?
«Quando ci chiediamo come è nata la vita sulla Terra o se esistono forme di vita altrove nello spazio stiamo parlando di astrobiologia. Per poter affrontare questo tema è necessario mettere insieme conoscenze che provengono da discipline molto diverse tra di loro come la fisica, la biologia, la chimica, la geologia, l’astrofisica e così via. Ma esiste una visione comune in europa verso la quale concentrare gli sforzi per capire se esiste vita oltre il nostro pianeta? Insieme ad un gruppo di scienziati provenienti da vari istituti europei abbiamo deciso di preparare il documento AstRoMap – European Astrobiology Roadmap. Le idee principali su cui si fonda la roadmap europea che quindi chi si occupa di astrobiologia dovrà seguire si basano su: studiare l’origine ed evoluzione dei sitemi planetari; capire come si sono formati i composti organici nello spazio; comprendere le interazioni tra rocce e materia organica e quali sono le principali transizioni che hanno portato all’origine della vita sulla Terra; definire quali ambienti nel nostro sistema solare o in altri sistemi planetari sia abitabile; trovare le tracce di vita nei corpi del Sistema Solare. Cinque punti attorno ai quali coordinare la ricerca europea».
John Brucato, astrofisico ed esobiologo dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Arcetri
Gli astrobiologi lavorano a stretto contatto con i ‘cercatori di pianeti’, cioè gli scienziati che passano la loro vita a ispezionare ogni angolo di cielo in cerca di nuovi pianeti e – chissà – proprio di quello che un giorno potremo chiamare ‘nuova Terra’. Qual è il vostro ruolo? Perché la vostra disciplina è così importante?
«La maggior parte degli esopianeti – o pianeti extrasolari, cioè che orbitano attorno ad altre stelle – scoperti fino a oggi sono giganti gassosi tipo Giove ma che orbitano alla distanza di Mercurio. Come si può facilmente intuire, le temperature elevate in questi pianeti non permettono la presenza di vita. Ma oggi sappiamo quali sono le condizioni ambientali ideali perché la vita proliferi? Ovvero siamo in grado di poter chiamare un pianeta o una particolare regione di un pianeta abitabile? L’astrobiologia attraverso lo studio di come la presenza di vita cambi l’ambiente esterno ci fornisce le indicazioni necessarie per capire se una volta scoperto un nuovo pianeta extrasolare questo possa essere abitabile. Non importa che stia alla stessa distanza della Terra dal proprio sole, basta che le condizioni di abitabilità siano presenti».
Il passato e il futuro dell’astrobiologia. Quali le scoperte più importanti del recente passato (due o tre accenni)? E quali gli obiettivi del futuro segnalati anche nel documento?
«Oggi sappiamo che batteri e licheni sopravvivono a lunghi viaggi interplanetari o che possono evolvere adattandosi alle condizioni spaziali. Questo risultato è stato ottenuto grazie alla possibilità di utilizzare la stazione spaziale internazionale, un grande laboratorio che orbita a circa 300 km di altezza, il luogo ideale dove compiere esperimenti di biologia o di chimica. Partendo dall’esperimento di Miller, oggi abbiamo capito come costruire i mattoni molecolari della vita. Sappiamo che i minerali hanno avuto un ruolo importante dando il calcio di inizio alla complessità molecolare richiesta dalla vita. Nei prossimi anni sarà sempre più decisivo procedere nell’esplorazione del nostro sistema solare. Molto ancora c’è da capire. Abbiamo appena iniziato a muoverci su piccole regioni di Marte e nei prossimi anni dovremo analizzare il sottosuolo del pianeta rosso, prelevare campioni e riportarli a terra. Dovremo visitare e analizzare da vicino gli asteroidi primitivi, cioè i corpi che hanno portato l’acqua e la materia organica sulla terra. Bisognerà esplorare le lune Europa di Giove ed Encelado di Saturno. Mondi in cui esiste acqua liquida sotto una coltre di ghiaccio e dove è possibile esista la vita».
C’è da aspettarsi la presenza solo di microbi là fuori o troveremo qualcuno con cui ‘scambiare due chiacchiere’?
«Bisogna distinguere due luoghi diversi nello spazio dove cercare vita, il nostro sistema solare o altri pianeti extrasolari. Sappiamo che il nostro pianeta è stato popolato per miliardi di anni, quindi per la gran parte della sua storia, solamente da batteri. Pensiamo che tra i pianeti nostri vicini di casa sarà, quindi, molto difficile trovare organismi più complessi dei batteri. Possiamo però dire che i tre grandi temi della ricerca scientifica di oggi sono la nascita dell’universo, della vita e della coscienza. Abbiamo scritto questa roadmap che riguarda uno di questi aspetti proprio per poterci dotare di strumenti comuni basati sulla conoscenza con i quali poter anche capire se esistono forme più complesse e intelligenti di vita nella nostra galassia. L’Italia e l’europa dovranno sempre di più investire nel sapere, perché solo attraverso la conoscenza sapremo scambiare due chiacchiere con chi è diverso da noi e riuscire a non sprofondare nella barbarie».