Il Futurismo è il primo movimento culturale del secolo XX che può aspirare a un consenso diffuso perché propone una rivoluzione estetica massiva. Non si tratta più di uguagliare vita e arte dentro un’élite ristretta di artisti e intellettuali, ma di trasformare il senso estetico di un’intera società arretrata in tutti i settori.
Il Futurismo nasce con la pubblicazione nel 1909 de Il Manifesto di Tommaso Filippo Marinetti, nel diario Le Figaró, a Parigi. Dal primo momento, il Movimento Futurista si presenta come portatore di una nuova coscienza: i linguaggi culturali non si sono ancora adeguati ad un mondo che cambia molto rapidamente e offre straordinarie possibilità all’uomo contemporaneo (“l’uomo moltiplicato dal motore”).
Questo nuovo mondo si trasforma costantemente attraverso il suo sviluppo industriale. Il capitalismo diventa sempre più aggressivo e imperialista. Le novità tecnologiche hanno modificado in pochi anni la vita quotidiana e continuano a attualizzarsi con ritmo insistente. La velocità è, allo stesso tempo, mito e ritratto del secolo, “più bella della Nike di Samotracia”, e mostra i suoi oggetti feticcio: treni, motociclette, automobili, dirigibili, aerei. Nel 1909 si attraversa per la prima volta in aereo il Canale della Manica; nel 1910 a Milano ha luogo la prima competizione aerea.
La luce elettrica sostituisce la illuminazione a gas, e il telegrafo e il telefono cominciano a diffondersi in differenti strati sociali.
Il fonografo permette una riproduzione quasi illimitata di suoni, una moltiplicazione della musica nella vita quotidiana. Il cinematografo comincia a diventare uno spettacolo popolare.
La produzione industriale stessa viene rivoluzionata dalla standardizzazione, dal formarsi di “cartelli” e soprattutto dall’elaborazione in serie dei prodotti.
L’esigenza di modernità diventa esplosiva in Italia, coinvolta nella transformazione industriale, però ancora in ritardo rispetto ai grandi paesi europei e gli Stati Uniti. Non per niente la città di origine del Futurismo è Milano, capitale industriale d’ Italia.
In questa epoca di trionfo della tecnica, il contesto culturale è dominado da una profonda crisi del Positivismo. Nell’ ambito delle scienze si va perdendo quella interpretazione della realtà che si radicava nella validità delle leggi eterne della natura, stabilite anticipatamente secondo il modello meccanicista, che permettevano un determinismo assoluto.
Questo cambio di prospettiva culminerà nella teoria della relatività di Einstein del 1905. Per Einstein, lo spazio e il tempo sono concetti indipendenti e relativi, ossia in relazione reciproca e relativi allo spazio-tempo proprio dell’osservatore: le misure dello spazio e del tempo non sono più oggettive, ma interferiscono con le condizioni spazio-temporali del soggetto che misura. Non esiste allora alcun termine assoluto di riferimento.
Per i futuristi questa perdita permette un maraviglioso guadagno, uno spazio-tempo libero da qualsiasi regola conosciuta, dove è possibile un esercizio di libertà infinita, dove il dinamismo e la sintesi si ammassano accorciando distanze, dove la simultaneità distrugge strutture e produce assurde connessioni che strappano alla realtà le sue abusate vesti e la lasciano nuda perché possa rivelare sorprendenti possibilità.
Il Futurismo è proiettato verso l’avvenire e verso l’acquisizione di nuovi concetti e di nuovi mezzi d’espressione, però gran parte delle sue energie vengono consumate dalla polemica contro l’eredità del passato, che in Italia è specialmente pesante e si percepisce come un ostacolo intollerabile: per questo il grido futurista contro il “chiaro di luna”, simbolo di un romanticismo che non può più rappresentare il mondo, contro la cultura dell’ autocompassione, del lamento, della poesia come sofferenza, per questo la scelta di agire in una dimensione anarchica e ribelle, che rifiuta il passato e lo condanna all’oblio.
Tuttavia in questa rivoluzione si inseriscono elementi di forte ambiguità: per esempio, la sua posizione maschilista verso la donna deriva direttamente dalla cultura patriarcale che rifiuta. La donna rappresenta per i futuristi l’ incapacità di rischiare e morire per un’idea, la si mostra come quella che difende ad ogni costo la vita, per questo l’opportunismo e l’utilitarismo sono visti come qualità tipicamente femminili. Alcune donne reagiscono: Valentin di Sait-Point, nipote di Victor Hugo, pubblica nel 1912 il Manifesto della Donna futurista che prevede la completa emancipazione della donna. Il Movimento futurista femminista inoltre rivendica il valore positivo del piacere come fonte di liberazione e comunione con l’universo e contesta le ipocrisie della morale tradizionale.
In molti altri ambiti il Futurismo, attraverso la sua visione contradditoria e per molti aspetti accertata del futuro, ci mostra un’ambiguità che propone interessanti domande sopra la nostra complessa inquietante modernità. Ma l’ambiguità fondamentale del futurismo appartiene al piano politico così come il suo intervento più originale riguarda la vita quotidiana.
Come si sa Marinetti era da sempre un bellicista convinto. Salutò con entusiasmo la guerra di Libia: scrisse allora che il governo italiano era diventato futurista. Dopo esser stato interventista come tutto il gruppo dei futuristi italiani, combattè come volontario nella prima guerra mondiale con Balla, Boccioni, Sant’Elia, Carrà. Finita la guerra confluì nel partito fascista, che appoggiava un programma sociale nazionalista e aggressivo nel quale Marinetti allora si riconosceva appieno. Dopo la Marcia su Roma, Marinetti si disillusionò del regime per i suoi compromessi (accordi) con la monarchia, con l’ impresariato, con la Chiesa e si trovò in sostanza emarginato e apprezzato solo per la sua parola. Marinetti si allontanò indignato dal partido fascista, quando nel1920 Mussolini giunse a un accordo col Vaticano. Da quel momento Mussolini considerò Marinetti como un fastidio, un acrobata della parola che non capiva niente di politica. Però costruì parte della sua retorica, specie al principio, con le immagini e gli slogan del futurismo.
Agli inizi anche il futurismo italiano nutriva simpatie socialiste e anarchiche, dal momento che apprezzava tutti quelli che lottavano per sovvertire l’ordine costituito. Nel programma politico futurista, si trovano punti programmatici molto radicali e anti -autoritari, non solo sul piano delle instituzioni: forma repubblicana – riforma del parlamento e dell’ esecutivo, rivendicazione dei diritti civili e delle misure di protezione sociale; suffragio universale diretto per uomini e donne; abolizione dell’autorità maritale; divorzio facile; libertà di sciopero, di riunione, di organizzazione, di stampa; abolizione della polizia politica e dell’intervento dell’esercito come forza d’ordine pubblico; giustizia gratuita; salari minimi alti e uguali per uomini e donne; massimo legale di otto ore di lavoro; assistenza e sicurezza sociale; pensioni operaie. A tutto questo si univa un anticlericalismo intransigente, que chiedeva niente meno che l’espulsione del Papato.
Però il radicalismo di Marinetti si inseriva in un quadro di nazionalismo rivoluzionario, e non come il futurismo russo in una analisi marxista della società; di conseguenza, non tenendo in conto la relazione tra economia, politica e cultura, Marinetti e il futurismo italiano con lui, finirono per appoggiare gli interessi economici di quella stessa borghesia industriale del Nord d’ Italia che chiedeva l’industrializzazione e la modernizzazione del paese e che nella loro enfasi rivoluzionaria i futuristi avevano criticato come baluardo di una cultura e di una morale tradizionalista e retrogada.
In Russia, invece, la maggioranza delle avanguardie futuriste lottarono per un futuro totalmente differente da quello che avevano immaginato Marinetti e i suoi. Con Majakovskij in prima linea, abbracciando il comunismo, diedero inizio a quello che si chiamò com-futurismo, comunismo futurista, perchè partecipavano con i loro talenti e strumenti artistici alla rivoluzione che voleva rinnovare le basi della Russia e del mondo.
Riguardo al bolscevismo e alla Rivoluzione di Ottobre, Marinetti affermò in un suo scritto intitolato “Oltre il Comunismo” (1920), che tutti i futurismi erano nati dal futurismo italiano, però che, nonostante questo, erano autonomi e si rallegrava allora di sapere che tutti i futuristi russi erano bolscevichi e che il futurismo era divenuto, nei primi tempi della rivoluzione russa, l’arte ufficiale sovietica.
Antonio Gramsci, in un articolo della rivista “Ordine Nuovo” del 5 gennaio del 1921, intitolato “Marinetti il Rivoluzionario?” sostiene che il futurismo fu veramente rivoluzionario nella sua distruzione dei pilastri della cultura borghese. Marinetti non fu rivoluzionario sul terreno politico-economico, pero sì nel campo culturale, distruggendo gerarchie di valori spirituali, pregiudizi, idoli, rigide tradizioni.
Che resta del pensiero futurista nell’attualità, delle sue proposte rivoluzionarie, del suo tentativo di rottura con ogni tradizione accademica? Certamente il suo mandato si rispecchia nelle nuove tecnologie applicate all’arte, dal teatro alla danza, al disegno grafico, alla fotografía, al cinema, alla pittura, alle performances, agli eventi culturali organizzati con programmi computerizzati, proiezioni, distorsioni elettroniche della musica, della parola e dell’immagine. La tecnología applicata all’arte e alla vita è sicuramente di stampo marinettiano. Marinetti canta alle macchine nel 1909, così come noi, oggi, celebriamo quotidianamente la nostra affezione ai computer, alle infinite possibilità del digitale. E ancora per noi, come per Marinetti, si rivela importante la questione dello spazio-tempo, la rottura della statica delle due dimensioni.
Nonostante la sua corta vita, il movimento futurista lascia come testamento vitale uno sguardo nuovo sul mondo, una dissacrante domanda sulla sua apparenza e struttura, l’interesse per la transformazione, per le novità della scienza e della tecnica e le loro imprescindibili conseguenze che alterano la percezione dell’uomo persino su se stesso, la necessità incessante di riscrivere i canoni dell’estetica e dell’etica sul ritmo imparabile delle rivoluzioni umane.