Prima parte
L’Italia possiede un ricco patrimonio di musica popolare e di canti regionali che testimoniano la vitalità di tradizioni salvaguardate soprattutto nell’ambito dialettale. Ma la storia del suo folklore e la recezione da parte del pubblico ha attraversato negli anni varie tappe.
Nel ventennio fascista si proponeva il folklore in versione depurata da ogni analito di protesta e critica sociale, nell’intento di rerspingere qualsiasi sollecitazione culturale straniera, in nome di una rimarcata “italianità” costruita dal regime secondo parametri legati a un’Italietta che ”credeva, obbediva e combatteva”, provinciale e avulsa da qualsiasi dubbio sui decantati destini della patria.
Radicato nella fase embrionale della canzone italiana (seconda metà dell’Ottocento) il folklore a carattere più ‘politico’ riparte con grande fervore nel secondo dopoguerra, dopo una stasi forzata durante il Ventennio, e vive la sua stagione d’oro fra i tardi anni Sessanta e il decennio ‘di piombo’ segnato da rivolte, stragi, attentati e vari tentativi di minare l’ordine costituito. Una nuova canzone politica nasce in seno al movimento del folk-revival, privilegiando l’opposizione alla cultura dominante, in simultanea con la formazione dei primi gruppi di protesta di operai e studenti che incorpora negli elementi tradizionali le influenze musicali e poetiche del momento..
Dagli anni sessanta in poi, il miracolo economico che trasforma il paese da contadino a industriale sembra inizialmente escludere l’interesse per il folklore musicale ma man mano che si cominciano a intravedere le possibili pecche di una industrializazione esasperata, la necessità di recuperare un patrimonio che raccontava come eravamo, ma dava voce anche alla protesta e alla ribellione, si fa strada in forma di revivale viene riproposto al finale del decennio in festival, dischi e programmi radiofonici e televisivi. Man mano che questa ricerca sul folklore viene portata avanti da studiosi di musica e tradizioni popolari e da musicisti e cantanti, ci si rende conto che la diversità culturale che queste tradizioni esprimono si mostra duttile nel proporre una efficace critica al sistema socioeconomico che va affermandosi nella società italiana, fino a inglobarsi in un più vasto progetto politico di opposizione. Sono gli anni ’70 in cui si affermano voci capaci di restituire vita a questo antico patrimonio nazionale, configurando un genere che da tradizionale finisce per essere percepito come popolare ma insieme urbano e moderno.
Il folklore diventa poesia civile, musica che invita a schierarsi accanto a quel mondo di sfruttati e emarginati di cui è l’espressione più autentica. In un’Italia dove ogni paese, ogni città, ogni regione si riconoscono nell’orgoglio della propria identità fatta di canti, balli, tradizioni, la diffusione della musica folklorica finisce per diventare un fenomeno nazionale. Persino il teatro se ne appropria, Pensiamo a Ci ragiono e canto di Dario Fo dove attori, musicisti e cantanti folk ormai rinomati come Rosa Balistreri, Giovanna Marini e molti altri costruiscono insieme la storia da narrare, storia di un popolo che solleva la sua voce contro le ingiustizie e le sopraffazioni subite da sempre e dove il canto popolare viene proposto visualmente ripetendo quei gesti del lavoro che ne hanno determinato il ritmo. Il patrimonio della musica e della canzone folk viene riletto e rinventato da numerosi cantautori che con l’introduzione di strumenti moderni e con arrangiamenti suggestivamente ibridi ne arricchiscono sempre più lo spessore e l’impatto con il pubblico.
Nell’ambito del rievival folklorico non possiamo dimenticare lo straordinario contributo dato dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare o NCCP, gruppo formatosi a Napoli nel 1966 dai musicisti napoletani Eugenio Bennato, Carlo D’Angiò, Roberto De Simone e Giovanni Mauriello ai quali si unirono Peppe Barra, Patrizia Schettino, Patrizio Trampetti, Fausta Vetere e Nunzio Areni.
Attraverso studi filologici e ricerche etnomusicologiche, questo gruppo ripropone la musica popolare campana nel suo stile originale. Il successo che il gruppo ottiene al Festival dei due Mondi di Spoleto del 1972, del 1974 e soprattutto del 1976 con La gatta Cenerentola, segna il suo lancio internazionale.
La gatta Cenerentola è un’opera teatrale in tre atti, scritta e musicata da Roberto De Simone nel 1976, ispirata alla fiaba omonima, contenuta ne Lo Cunto de li Cunti di Giambattista Basile, mescolata con altre versioni, scritte e orali, della stessa fiaba.
Da un punto di vista musicale l’opera alterna sapientemente la musica popolare (villanelle, moresche, tammurriate) con la musica colta; il testo è in lingua napoletana, un napoletano quasi senza tempo, una lingua immutata nei secoli ancora parlata dalla popolazione. Protagonista dell’opera è la città di Napoli, vittima del potere. dolente, appassionata ma anche esplosiva e gioiosa.
Da allora la NCCP ha ripetutamente partecipato a numerosi festival d’Europa e d’oltreoceano, alternando l’attività musicale a quella teatrale.
Negli anni ’70 la cultura italiana sposò la causa del revival folklorico, vi parteciparono musicologi e intellettuali come Roberto Leydi, Dario Fo e Italo Calvino, con l’intento di recuperare una tradizione non solo in funzione archeologica come era stato fatto da alcuni in precedenza ma anche come modalità di lettura e interpretazione della modernità.
Continua nella seconda parte