Le politiche dei donatori tradizionali sugli aiuti internazionali allo sviluppo, tra cui i finanziamenti per la salute, sono prevalentemente dettate dal reddito nazionale lordo (RNL) pro capite dei paesi.
Nonostante sia ampiamente riconosciuto che i criteri di misurazione utilizzati per definire i paesi a basso reddito (LIC) o a medio reddito (MIC) non siano più adatti allo scopo e non restituiscano l’immagine effettiva delle condizioni di vita e di salute delle popolazioni, tali criteri sono stati utilizzati dalla Banca Mondiale e dai donatori tradizionali come un indicatore del grado di sviluppo di un paese nel corso degli ultimi 40 anni.
Un tale approccio miope non è in grado di cogliere la diversità dei bisogni sanitari della popolazione all’interno dei paesi e oltre i confini nazionali. Inoltre trascura i profili epidemiologici dei paesi e la loro effettiva capacità di tradurre le entrate finanziarie in investimenti sulla salute e risultati concreti, con un accresciuto rischio di un impatto negativo o, peggio, ribaltando i successi sanitari conseguiti negli ultimi dieci anni e mezzo.
La salute come precondizione per lo sviluppo umano ed economico è stata al centro degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (OSM) adottati nel 2000; ha galvanizzato il mondo intorno a obiettivi comuni a risultati di salute concreti, e ha consentito un’ondata globale di solidarietà che ha portato l’aiuto pubblico allo sviluppo nell’ambito dell’assistenza sanitaria (APS), da USD 6 miliardi nel 1990 a USD 31,3 miliardi nel 2013. La creazione di importanti iniziative internazionali nel campo della salute, quali il Fondo globale per la lotta all’AIDS, tubercolosi e malaria (GFATM) o Gavi, l’alleanza mondiale per la vaccinazione sono parte integrante di questa temperie culturale.
Questo modello sta tuttavia cambiando. Le conseguenze della crisi finanziaria iniziata nel 2008 oltre il mancato rispetto, di gran parte dei donatori, dell’impegno di assegnare una parte (0,7%) del proprio prodotto nazionale lordo a favore dell’aiuto pubblico allo sviluppo hanno provocato un’erosione della solidarietà a livello globale. Inoltre, l’aumento del numero di paesi che si spostano verso l’alto nella scala del reddito (in primo luogo i contesti che vengono “promossi” a paesi a reddito medio) ha portato al falso presupposto che tali paesi siano in grado di assumersi in modo rapido e automatico la responsabilità dei bisogni della propria popolazione, tra cui la salute.
Questa ipotesi è al centro delle discussioni in corso sul tema degli aiuti, tra cui la Conferenza sul Finanziamento allo Sviluppo (FfD) che si svolge in questo mese ad Addis Abeba e fortemente concepita nell’ottica di una definizione dell’agenda post 2015, sugli “obiettivi di sviluppo sostenibile” (OSS) che dovranno essere approvati a fine settembre 2015 in occasione del vertice delle Nazioni Unite di New York.
Eppure, la realtà delle popolazioni che vivono nei paesi definiti a reddito medio, è piuttosto desolante. I MIC ospitano oggi oltre il 70% di quanti nel mondo vivono in condizioni di estrema povertà. Si trovano ad affrontare un triplo fardello per via dell’elevata prevalenza delle tre principali malattie infettive letali (HIV/AIDS, tubercolosi e malaria), le malattie non trasmissibili, quali il diabete o il cancro, nonché le minacce sanitarie globali. Medici Senza Frontiere (MSF) sta implementando programmi in oltre 60 paesi, di cui più del 50% sono in paesi a medio reddito.
Dal 1 luglio 2015, la definizione di MIC si riferisce a un gruppo di 105 paesi tra cui Myanmar, Mauritania, Kenya, Bangladesh, Sudan, Costa d’Avorio, Siria, Egitto, Ucraina e Sud Africa. Si tratta di paesi tanto diversi per dimensioni, popolazione, incidenza di malattie e reddito, quanto per cultura e geografia.
Tuttavia i donatori tradizionali e multilaterali sembrano ignorare le evidenti diversità esistenti tra i vari paesi e all’interno dei paesi stessi sia in termini di sviluppo umano effettivo che di disuguaglianze crescenti a livello globale. La mancanza di logica risultante da una classificazione che inserisce nello stesso gruppo paesi come la Cina e la Repubblica del Congo, non sembra produrre alcun impatto nelle politiche adottate.
Peggio ancora, poiché si presume che i paesi ‘promossi‘ al gradino superiore di medio reddito non abbiano più necessità di aiuti pubblici allo sviluppo, sono applicate restrizioni più severe al finanziamento, e gli aiuti vengono sostituiti da prestiti. Sono inoltre applicate normative più restrittive sugli scambi commerciali e nell’ambito della proprietà intellettuale che, di fatto, limitano l’accesso ai farmaci, vaccini e dispositivi medici meno costosi.
L’attuale retorica intorno alla ricaduta positiva sulle condizioni di vita dovute all’incremento delle entrate nazionali e l’insistenza sulla responsabilità governativa rispetto alla salute della propria popolazione, hanno un senso solo se vengono considerate come componenti aggiuntive e non in sostituzione della solidarietà nel campo della salute globale. Inoltre, fare pressione sui paesi affinché facciano affidamento in tempi troppo brevi sul loro finanziamento nazionale comporta il rischio di reticenza o incapacità di espandere e dare seguito ai programmi sanitari esistenti, di innovare, fornire assistenza sanitaria a titolo gratuito, o garantire l’accesso all’assistenza sanitaria ai più vulnerabili, alle persone emarginate o agli stranieri.
In alcuni casi i paesi a reddito medio rilevano già qualche difficoltà nel procurare vaccini salvavita o i farmaci più recenti rispetto ai paesi a basso reddito. Attualmente si sta verificando un incremento dei casi di tubercolosi farmaco-resistente in paesi che, pur trovandosi nella fascia di reddito medio, non sono ancora in grado di affrontare i costi finanziari che il controllo di queste malattie richiedono.
E’ inoltre evidente una crescente negatività verso i programmi verticali rivolti a malattie specifiche, con una tendenza all’utilizzo di una logica competitiva (malattie non trasmissibili contro malattie trasmissibili, HIV contro diabete) piuttosto che la ricerca di una discussione basata sui bisogni di salute tra la popolazione e sul carico di malattie nei paesi.
Il crescente cambiamento delle politiche e le conseguenze in termini di ammissibilità dei paesi ai finanziamenti, rendono difficile a Gavi e al GFATM l’adempimento dei rispettivi ruoli strategici nella salute globale e nel controllo delle malattie. La riduzione del finanziamento alla società civile, nonostante il ruolo fondamentale che ha esercitato in molti paesi del mondo sia nella cura che nella prevenzione di alcune malattie, può essere testimoniata dai team di Medici Senza Frontiere che lavorano sul campo come nel caso del Sud Africa per quanto riguarda l’HIV/AIDS.
La re-introduzione di meccanismi di impoverimento e di barriere alla salute, quali le user fees, i pagamenti diretti da parte della popolazione sono già stati documentati da Medici Senza Frontiere come una modalità per i Governi di scaricare sui pazienti il costo dei servizi sanitari. Una riduzione, una stagnazione o una ancora più preoccupante deviazione delle sovvenzioni per la salute verso altri obiettivi di sviluppo sono un rischio reale, essendo la salute uno dei 17 “obiettivi allo sviluppo sostenibile” proposti.
Purtroppo, invece di rivedere la logica di assegnazione degli aiuti attualmente basata sulla classificazione del reddito nazionale e valutare in modo effettivo i bisogni di salute dei paesi, sono state applicate definizioni aggiuntive come quella di paesi meno sviluppati o di paesi fragili e colpiti da conflitti, aggiungendo eccezioni in uno scenario di per sé già complesso.
In queste circostanze, raggiungere gli obiettivi sanitari internazionali e tenere le malattie sotto controllo si presentano come sfide quasi impossibili e ciò si traduce potenzialmente in sempre maggiori lacune che, organizzazioni medico-umanitarie come Medici Senza Frontiere (MSF), sono ancora una volta chiamate a colmare.