La fuga dal lavoro subordinato a causa dei Contratti di Collaborazione Coordinata e Continutiva (CO.CO.CO.)
Dalla seconda metà degli anni ‘70 inizia un aumento delle Collaborazioni Coordinate e Continue (co.co.co.). Si tratta di un rapporto di lavoro autonomo ma che ha una diversa disciplina. Si tratta dei cosiddetti parasubordinati.
Lavoratori le cui attività si concentrano in prestazioni d’opera, ma continuativa e coordinata. Incomincia a delinearsi questo nuovo tipo di figura. Un lavoratore autonomo che ha la caratteristica di coordinarsi con il committente e in modo continuativo. Ad essere introdotto è l’elemento della durata. Questa figura è utilizzata fino alla metà degli anni ‘70 in pochi ambiti, per lo più dagli gli agenti di commercio.
Nel 1973 viene approvato l’art. 409 del C.P.C. (codice di procedura civile) sulla disciplina processuale relativa ai co.co.co.
Secondo il n.3 dell’art. 409 C.P.C. possono rivolgersi al giudice del lavoro anche i co.co.co., come per i subordinati. Prima di questo momento non era possibile per i lavoratori autonomi inquadrati come co.co.co. rivolgersi al giudice del lavoro, ma solo al giudice ordinario.
Questo disciplina il processo del lavoro per i co.co.co. Da questo momento, in caso di controversie, possono rivolgersi al giudice del lavoro.
Attraverso questa norma si definisce una cornice ai co.co.co., che sono coloro che secondo n3 dell’art 409 c.p.c. hanno “una prestazione d’opera continuativa coordinata di collaborazione a carattere prevalentemente personale” Questo articolo conferma quindi che i CO.CO.CO. svolgono un contratto d’opera. Si tratta quindi sempre di lavoro autonomo, anche se in forma diversa.
Negli anni ‘80 e ‘90 avviene una gigantesca fuga dal diritto del lavoro subordinato, perché i co.co.co. costano meno essendo autonomi e non avendo il contratto da lavoratore dipendente. Hanno meno “diritti”.
Cosa si intende per collaborazione coordinata?
A chiarire questo aspetto è l’art. 15 Legge n. 81/2017, secondo il quale “la collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa”. Se questo non avviene si ricade nel lavoro subordinato.
I settori e le figure più interessate a questo fenomeno sono quello dell’editoria, dell’informatica (come per i programmatori), della sanità (come per i paramedici).
I giudici del lavoro cercano di arginare la cosiddetta fuga dal lavoro subordinato attraverso due metodi. Il metodo tipologico e il metodo sussuntivo (anche noto come sillogistico).
Il metodo tipologico si basa su indici presuntivi.
Secondo i giudici, in base a questo metodo, la subordinazione si può evincere non solo dall’assoggettamento puro al potere direttivo.
Ci sono dei modi di lavorare, come per le mansioni di tipo intellettuale, in cui il datore di lavoro non ha bisogno di esercitare costantemente il potere direttivo.
Secondo i giudici che applicano il metodo tipologico si può arrivare alla subordinazione anche se non c’è potere direttivo. Attraverso gli indici presuntivi della subordinazione.
L’inserimento in un’organizzazione produttiva, il rispetto dell’orario di lavoro, il pagamento della retribuzione tutti i mesi, l’uso di strumenti e macchinari del committente, sono indici che secondo i giudici portano alla subordinazione anche se non c’è etero-direzione.
Quindi, secondo il metodo tipologico, c’è la subordinazione anche se non c’è etero-direzione ma ci sono gli indici presuntivi.
Il metodo tipologico è stato usato molto fino alla fine degli anni ‘80, in accordo con la concezione contrattualistica, secondo la quale il rapporto di lavoro nasce anche senza contratto. Nasce con l’inserimento nell’organizzazione produttiva. Questo ha comportato la tendenza espansiva del diritto del lavoro, comportando un aumento esponenziale di lavoratori considerati subordinati.
Il metodo sussuntivo (sillogistico) si basa sulla regola generale del diritto civile.
In questo caso si parte dalla norma civilistica della subordinazione, l’articolo 2094 Codice civile, che afferma che si è subordinati se assoggettati alle direttive, “alle dipendenze e sotto la direzione”. Se si dimostra questo si dimostra la subordinazione. Secondo questo metodo, quindi, se non c’è etero-direzione non c’è subordinazione.