Sempre caro mi fu quest’ermo colle,/E questa siepe, che da tanta parte/Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude./Ma sedendo e mirando, interminati/Spazi di là da quella, e sovrumani/Silenzi, e profondissima quiete/Io nel pensier mi fingo; ove per poco/Il cor non si spaura. E come il vento/Odo stormir tra queste piante, io quello/Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,/E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa/Immensità s’annega il pensier mio:/
E il naufragar m’è dolce in questo mare.
Chi di noi non si è almeno una volta lasciato naufragare nel mare poetico dell’Infinito leopardiano? Questo testo non è solo la perla poetica del Romanticismo ma una pietra miliare della nostra tradizione letteraria, l’occasione di un viaggio ardito dentro i meandri della coscienza umana.
Nel Romanticismo troviamo una tendenza generale della sensibilità e dello spirito che porta a trascendere le barriere del finito e a superare tutti i limiti in esso contenuti, al punto que l’ infinito può con ragione essere considerato il protagonista dell’ universo romantico.
Giacomo Leopardi fa del concetto di infinito il nodo centrale del suo pensiero e della sua poesia, come possiamo vedere negli scritti dello Zibaldone e in uno dei suoi Idilli più famosi, “L’Infinito”, di cui si compiono nel 2019 i duecento anni e dove troviamo evidenziata tutta la sua poetica.
Il concetto di Infinito, quello che Jorge Luis Borges considerava un concetto corruttore dello spirito e della realtà, lavorato da tanta filosofia e poesia romantica, serve a Leopardi per concepire una precisa teoria sulla conoscenza, il piacere e la felicità.
Ci dice Italo Calvino nelle sue Lezioni americane, nella conferenza sull’ Esattezza, che Leopardi si confronta con un problema che, prima che poetico, è speculativo e metafisico, un problema che domina la storia della filosofia da Parmenide a Cartesio a Kant: la relazione tra l’ idea di infinito como spazio assoluto e tempo assoluto e la nostra percezione empirica del tempo e dello spazio.
Leopardi, muovendosi dal rigore astratto di un’ idea matematica di spazio e tempo la compara con l’ “indefinido, impreciso fluttuare delle sensazioni”. Como poeta invoca “l’ indefinido” in quanto elemento poetico imprescindible e unica forma di infinito alla quale si può accedere e ci dice che il concetto di vago, di indefinido, sta alla base dell’ inspirazione poetica.
Però, come ci fa notare Calvino, per realizzare poeticamente questa indeterminazione è necessaria una rigorosa esattezza, un’ attenzione estremamente precisa e meticolosa che il poeta esercita componendo ogni verso. In questo modo il poeta del vago diventa il poeta della precisione che sa scegliere e descrivere con mano sicura ogni sfumatura del pensiero e della sensazione.
In Leopardi, i due termini, infinito e finito, costruiscono un binomio inseparable. Il poeta, edonista infelice come è, considera l’ ignoto sempre gradevole. Nell’elaborazione di questi due concetti il romanticismo e il classicismo del poeta si intrecciano con originalità, dando al suo pensiero quella caratteristica bipolare del romanticismo italiano che in Leopardi si incarna al massimo livello tanto nel pensiero filosofico come nella poetica e nella poesia: come poeta, attraverso l’immaginazione, vede le cose e le relazioni tra le cose, come filosofo mediante la ragione si allontana dalle cose e compone una trama nuova di relazioni, in una specie di puro etere soprannaturale che giustifica ogni arbitrio della mente e inoltre lo trasforma in esemplare.
Il Romanticismo propende alla metafisica e alla spiritualità, Leopardi ci dice che la poesia è materiale, fantastica e corporale. Le sue poesie sono il frutto della opposizione e della interazione tra gravità di contenuto e grazia espressiva, contengono quella precisione lessicale della quale parlava Italo Calvino; si uniscono nei suoi versi, senza che si spezzi la raffinata struttura del canto, insuperabili vette liriche e linguaggio basso, utilizzando una grande complessità di registri; lo stesso vale per le forme metriche che sempre riescono a trovare soluzioni originali che aderiscono perfettamente al livello semantico dei versi. Nella poesía di Leopardi non esistono più sonetti, terzine, quartine, sestine, ottave, madrigali, tutta la musicalità si sviluppa attraverso accenti, omofonie, assonanze e infine nel piacere della rima che a volte da sola sopravvive al repertorio tradizionale.
Con la teoria dell’infinito-indefinido, nello Zibaldone Leopardi sviluppa la teoria del piacere. Per Leopardi l’ infinito coincide con l’impeto vitale, con la tensione che l’uomo ha verso la felicità. La nostra immaginazione ha la tendenza a idealizzare e a percepire come più affascinante ciò che è fugace e non è concretamente presente. L’ Infinito è quindi per Leopardi puro prodotto della mente umana, però solo nell’ astrazione del pensiero, perché neppure l’ immaginazione arriva ad accettarlo e comprenderlo se non nella sua riduzione a indefinido. La nostra relazione con l’ infinito comporta uno stato di sofferenza dovuto all’insufficienza della esperienza del limite, l’ unica esperienza che non è permessa. “L’ Infinito– precisa Leopardi- non si possiede, piuttosto non è”. Appartiene alla vera poesía poterlo esprimere, ossia alla poesia lirica, che è espressione dell’Io e del cuore dell’uomo, poesia non solo immaginativa e fonte di piacere ma poesia capace di consolarci nella percezione della nullità e della precarietà dell’esistenza.
La poetica, legata al vago, all’ indefinido e alla rimembranza, si concreta esemplarmente proprio ne L’infinito. Leopardi descrive qui un’ esperienza della mente originata dall’ esperienza sensoriale della vista e dell’udito. La presenza del limite (in questo caso la siepe che sul colle impedisce parzialmente la vista del paesaggio) invita il poeta ad andare più in là dell’immaginazione. In perfetta sintonia la scrittura accompagna questo viaggio in una terra sconosciuta, attraverso gli enjambements presenti quasi alla fine di ogni verso e che traducono in ritmo e parole l’immagine dello sguardo che osa superare la barriera della siepe (precisamente come la unità sintattica si estende più in là dell’ unità metrica del verso con l’ enjambement). L’anima dell’uomo non può sostenere per molto tempo il concetto di infinito percepito per mezzo delle coordinate spaziali, perché questo provoca come una vertigine, un fremito di fronte all’immensità («ove per poco/ Il cor non si spaura»). In questo clima emozionale un fatto, in apparenza insignificante, come il sussurrare del vento fra le piante, ci allontana dalla relazione con l’infinito e ci immette di nuovo nella dimensione della realtà concreta, nello scorrere inesorabile del tempo, negli istanti fuggitivi che lo contraddistinguono. Il poeta confronta la brevità degli anni con l’ eternità (l’ infinito dal punto di vista temporale): esperienza dell’ immaginazione sostenibile per pochi secondi, perché il nostro Io naufraga in questa immensità, sperimentando, senza dubbio, un forte sentimento di piacere (proprio perché la nostra anima aspira costantemente all’infinito).
E qui la sofferenza della mente inadeguata e il piacere dell’anima che si abbandona e gode creano uno degli ossimori emozionali più travolgenti di quanti la poesia abbia prodotto. Leopardi sa che la immaginazione, nonostante generi piacere, è illusoria. La felicità vera non sta nella nostra facoltà di immaginazione. L’anima sempre resta insoddisfatta dal momento che non riesce a concepire chiaramente l’infinito, se non nella dimensione di indefinito che è un’idea inadeguata, approssimata, vaga, eppure in questa idea il poeta naufraga dolcemente in un piacere inaspettato e senza ragioni, si lascia andare alla vertigine di un’esperienza ai confini della realtà, laddove si incontrano infiniti mondi possibili.
Stupefatto e coraggioso viaggiatore che rifiuta la bussola, assomiglia molto di più ai poeti del nostro tempo, coscienti degli inganni della ragione eppure ostinati nella ricerca dell’impossibile, di quanto non assomigli ai suoi contemporanei.
Teorico e poeta dell’ Infinito, critico della modernità della sua epoca e allo stesso tempo il suo più sublime cantore, Leopardi si revela non solo interprete attento di quell’ epoca ma anche della nostra contemporaneità, ragione per cui ancora oggi il suo Idillio ci apre la mente e ci commuove.