Un guscio di scioglievole e delicata frolla fine racchiude un cuore generoso di uova, grano e ricotta in cui si lasciano avvolgere voluttuosamente preziose scorzette d’arancia candita, il tutto sublimato dal profumo inconfondibile del Neroli.
La Pastiera non è semplicemente “un” dolce; la Pastiera è “Il”dolce. Un’esperienza mistica e sensoriale a 360°, è seduzione del palato ed estasi dell’olfatto, è rapimento dell’intelletto e trionfo del piacere.
Un’eccellenza tutta napoletana, che si fa spazio a ragion veduta nell’olimpo della pasticceria mondiale.
Dovrebbe essere riconosciuta Patrimonio dell’Umanità, ottava meraviglia del mondo, miracolo divino!
No, non sto esagerando! A quanto pare, secondo una leggenda mitologica la pastiera sarebbe nata proprio dalle mani degli Dei.
La leggenda narra che la Sirena Partenope, incantata dalle bellezze naturali di Napoli, avesse scelto la sua dimora tra Posillipo e il Vesuvio. Ogni primavera ella emergeva dalle acque del golfo per salutare le genti del luogo, allietandole con canti d’amore.
I napoletani ammaliati dalla bellezza e dalla voce della sirena decisero di renderle omaggio offrendole quanto avevano di più prezioso, ovvero i doni della loro terra fertile:
la farina, forza e ricchezza della campagna;
la ricotta, omaggio dei pastori;
le uova, simbolo della vita che da sempre si rinnova;
il grano tenero bollito nel latte, nutrimento dell’anima;
l’acqua di fiori d’arancio, in ricordo dei profumi terreni;
la cannella afrodisiaca, in rappresentanza dei popoli lontani;
ed infine lo zucchero, per esprimere l’ineffabile dolcezza profusa dal suo canto, in cielo, in terra, ed in tutto l’universo.
La sirena felice per i doni ricevuti si inabissò e depose le offerte ai piedi degli Dei.
Questi, commossi dall’amore di lei per le creature mortali, mescolarono con arte divina gli ingredienti, trasformandoli nella prima Pastiera, che superava in dolcezza e bontà il canto della stessa Partenope.
Da allora la Pastiera fu il dolce che simboleggiò il ritorno della Primavera e le donne napoletane, in ricordo della sirena, impastavano con amore i frutti copiosi che la madre terra donava dopo il lungo inverno .
La leggenda della sirena è senz’altro molto affascinante e coinvolgente, ma è più probabile che il primo “abbozzo” di pastiera sia da ricercare in un pane di farro tipico delle nozze romane detto “confarratio”, oppure alle focacce rituali che si diffusero all’epoca dell’Imperatore Costantino e che venivano donate ai catecumeni nella sacra notte di Pasqua al termine della cerimonia battesimale.
La storia più recente, invece, vorrebbe le origini della pastiera in un convento napoletano, per mano di una suora che unì alla ricotta una manciata di grano, a cui aggiunse le uova, simbolo di nuova vita, l’acqua di fiori d’arancio odorosa come la primavera, il cedro e le aromatiche spezie venute dall’Asia.
Le suore del convento di San Gregorio Armeno erano reputate maestre nel confezionare il dolce tipico e nel periodo pasquale ne impastavano per le mense delle dimore patrizie e borghesi.
In ogni caso, la diffusione della pastiera così come la conosciamo oggi risale con certezza almeno al ‘600, e a conferma di ciò vi è la citazione tratta dalla favola “La gatta Cenerentola” di Giambattista Basile (1566-1632), portata sulle scene da Roberto De Simone, che descrive i festeggiamenti dati dal re per trovare la fanciulla che aveva perso lo scarpino:
« E’ venuto lo juorno destenato, oh bene mio: che mazzecatorio e che bazzara che se facette! Da dove vennero tante pastiere e casatielle? Dove li sottestate e le porpette? Dove li maccarune e graviuole? Tanto che nce poteva magnare n’asserceto formato. »
Un’altra leggenda è quella che vede protagonista la triste moglie di Ferdinando II re di Napoli, ovvero Maria Teresa D’Asburgo, che gli stessi sudditi avevano soprannominato <<la regina che non ride mai>>, sottolineando il suo carattere nordico e severo.
Pare che la regina sorrise una sola volta nella sua vita, proprio quando assaggiò la pastiera durante le festività pasquali. A quel punto il Re, bontempone qual era, esclamò: <<Per far sorridere mia moglie ci voleva la Pastiera, ora dovrò aspettare la prossima Pasqua per vederla sorridere di nuovo>>.
Sull’episodio nacque addirittura una simpatica poesia in dialetto napoletano:
A Napule regnava Ferdinando
Ca passava e’ jurnate zompettiando;
Mentr’ invece a’ mugliera, ‘Onna Teresa,
Steva sempe arraggiata. A’ faccia appesa
O’ musso luongo, nun redeva maje,
Comm’avess passate tanta guaje.
Nù bellu juorno Amelia, a’ cammeriera
Le dicette: “Maestà, chest’è a’ Pastiera.
Piace e’ femmene, all’uommene e e’creature:
Uova, ricotta, grano, e acqua re ciure,
‘Mpastata insieme o’ zucchero e a’ farina
A può purtà nnanz o’Rre: e pur’ a Rigina”.
Maria Teresa facett a’ faccia brutta:
pò l’assaggiaje, e sa fernette tutta.
Mastecanno, riceva: “E’ o’Paraviso!”
E le scappava pure o’ pizz’a riso.
Allora o’ Rre dicette: “E che marina!
Pe fa ridere a tte, ce vò a Pastiera?
Moglie mia, vien’accà, damme n’abbraccio!
Chistu dolce te piace? E mò c’o saccio
Ordino al cuoco che, a partir d’adesso,
Stà Pastiera la faccia un pò più spesso.
Nun solo a Pasca, che altrimenti è un danno;
pe te fà ridere adda passà n’at’ anno!
A Napoli regnava Ferdinando
Che passava il tempo saltellando; ( modo di dire dialettale per intendere allegramente)
Mentre invece la moglie, donna Teresa,
Stava sempre arrabbiata. La faccia appesa( incupita)
Il muso ungo, non rideva mai,
Come se avesse passato molti guai.
Un bel giorno, Amelia , la cameriera,
le disse: “Maestà questa è la pastiera.
Piace alle donne , agli uomini, e ai bambini.
Uova ricotta, grano e acqua di fiori,
impastata insieme allo zucchero ed alla farina
(è un cibo che )lo puoi portare ( a tavola) davanti al Re: ed anche alla Regina”
Maria teresa fece una brutta espressione:
poi l’assaggiò, e la finì tutta.
Masticando, diceva: “E’ il Paradiso!”
E le scappava pure un sorriso ( “pizzo a riso” sarebbe l’angolo della bocca che si alza verso l’alto).
Allora il Re disse “E che marina! ( imprecazione fra rabbia e sorpresa)
Per far ridere te, ci vuole la Pastiera?
Moglie mia, vieni qua, abbracciami!
Questo dolce ti piace? Ed ora che lo so
Ordino’ al cuoco che , a partire da adesso,
Questa Pastiera la faccia un pò più spesso.
Non solo a Pasqua, che altrimenti è un danno;
per far ridere te deve passare un altro anno!
In tempi antichi la pastiera veniva realizzata solo nel periodo di Pasqua, mentre oggi la troviamo tutto l’anno nelle pasticcerie napoletane e in diverse versioni in base alla località campana di produzione: con aggiunta di crema pasticciera nella penisola sorrentina, con il riso nel beneventano, i tagliolini nel nolano, la quinoa dell’innovazione gastronomica e il cioccolato per le versioni più estreme.
La tradizionale Pastiera napoletana è ovviamente quella a base di grano cotto, ricotta, uova, canditi e Neroli (l’olio essenziale di fiori d’arancio) e va preparata con largo anticipo (di solito il giovedì Santo) per permettere ai vari ingredienti di armonizzarsi tra loro e sprigionare al meglio i profumi eccezionali di questo dolce.
La ricetta che vi propongo è ancora una volta condivisa con generosità dal Maestro Scaturchio, una vera e propria istituzione della pastiera e della pasticceria napoletana in generale.
PASTIERA NAPOLETANA
Si consiglia di dividere la preparazione della pastiera in 2 giorni.
Ingredienti (per 2 pastiere di 18 cm/1 kg ognuna):
Per la pasta frolla:
500 g di farina 00
200 di strutto (in alternativa burro)
200 di zucchero
2 uova intere (circa 120 gr)
pizzico di sale
2 gr di ammoniaca per dolci
Per la crema di ricotta e grano:
300 gr di ricotta romana + 300 gr di ricotta di pecora
400 g di zucchero
400 g di grano cotto
300 ml di latte
1 cucchiaio di strutto (in alternativa burro)
scorza di 1 limone
5 uova
5 gocce di neroli per profumare
1 cucchiaino di cannella
1 cucchiaino di essenza naturale di vaniglia
100 g di frutta candita mista (arancia, cedro e cocozzata)
Procedimento:
1 GIORNO: (di solito la sera prima di fare la pastiera)
1) Preparate la crema di ricotta, mescolando la ricotta con i 400 g di zucchero, dopodichè passatela al setaccio o in un passaverdure dalla maglia molto stretta (dovrete ottenere una crema molto fine) e conservatela in frigorifero per 12 ore.
2) Preparate il grano mettendolo in una casseruola con 300 ml di latte, 1 pizzico di cannella,la vaniglia, lo strutto e la scorza di limone, fate cuocere a fiamma bassa finché il latte si assorbe completamente e il grano diventa una crema bella densa, ma non troppo asciutta. Togliete la scorza di limone e conservate in un luogo fresco per 12 ore.
3) Preparate in anticipo anche la pasta frolla: formate una fontana con la farina e aggiungete lo strutto (o il burro) e fatelo assorbire dalla farina sfregando con le dita fino ad ottenere un composto sabbioso.
Aggiungete a questo punto lo zucchero, la scorza di limone e le uova e impastate velocemente senza lavorare troppo il composto, per evitare che il grasso si scaldi troppo, compromettendo poi la friabilità della frolla.
Avvolgete la pagnotta di frolla nella pellicola e ponetela in frigo fino al momento di utilizzarla.
2 GIORNO:
1) In un recipiente amalgamate il grano e la crema di ricotta.
A parte sbattete leggermente le uova e unitele alla crema di ricotta e grano.
Aggiungete infine l’aroma Neroli e i canditi tagliati a pezzetti piccoli.
2) Imburrate e infarinate 2 tortiere da 18 cm di diametro alte 6 cm, stendete la frolla come fate per la crostata, bucherellatela con i rebbi di una forchetta e riempitela col composto fino a raggiungere quasi l’orlo della frolla.
Ritagliate delle striscioline di circa 1 cm di larghezza e disponetele incrociate come per le crostate.
3) Infornate a 160° per circa 90 minuti (la cottura della pastiera deve essere lenta, affinchè l’interno raggiunga la giusta consistenza e la giusta “succosità”)*.
Una volta sfornata, se ci riuscite, lasciatela riposare in un luogo asciutto per 1 giorno prima di degustarla.
Buona pastiera e buona Pasqua!
*Durante la cottura la pastiera si gonfierà molto e le striscioline di frolla si spaccheranno un pò, è normale. Una volta sfornata, poi, raffreddandosi riprenderà la sua “forma” originale.