Sono circa 20.000 le nuove sorgenti di raggi gamma scoperte analizzando con una nuova tecnica statistica sei anni di dati raccolti dal Large Area Telescope (LAT), il rivelatore per i raggi gamma di alta e altissima energia, presente a bordo del telescopio spaziale della NASA Fermi, cui l’Italia partecipa con l’Agenzia Spaziale Italiana, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e l’Istituto Nazionale di Astrofisica.
Lo studio, condotto da un gruppo di ricerca dell’INFN e dell’Università di Torino e pubblicato sull’Astrophysical Journal Supplements (ApJS), impiega una tecnica avanzata di analisi dei dati sviluppata in modo specifico per identificare la presenza di sorgenti molto deboli nel cielo. Il metodo ha permesso agli autori di aumentare in modo significativo la sensibilità e di inferire così la presenza di un gran numero di sorgenti, di cui fino ad ora si ignorava l’esistenza.
La radiazione misurata dallo strumento Fermi-LAT si colloca nella banda dei raggi gamma di altissima energia, che viene prodotta da oggetti astrofisici estremamente energetici, come supernovae, buchi neri e galassie attive. I cataloghi di sorgenti, ossia gli archivi di dati che contengono le informazioni sulle singole sorgenti, attualmente elencano le posizioni nel cielo di circa 3.000 emettitori gamma. Questa nuova analisi ha invece consentito di mettere in evidenza la presenza di sorgenti molto più deboli di quelle che il telescopio può identificare: questo fatto ha permesso di portare a 20.000 il numero di sorgenti di cui si percepisce la presenza nel cielo.
“È una tecnica che consente di identificare popolazioni di sorgenti invece che di vedere singole sorgenti brillanti”, spiega Hannes Zechlin, ricercatore dell’Università di Torino e della sezione INFN di Torino. “Così è possibile sentire la presenza di oggetti poco luminosi ma abbondanti: anche se non si localizza nel cielo la posizione individuale di queste nuove sorgenti, ora sappiamo che esse esistono e sappiamo quanti raggi gamma emettono. Questo risultato è di grande importanza per la comprensione della composizione e delle proprietà dell’universo estremo”, conclude Zechlin.
Dalla misura della luce e di altra radiazione cosmica emessa da stelle, galassie e altre strutture che popolano il cosmo, astronomi e astrofisici derivano informazioni cruciali sulle leggi fondamentali della natura e sull’origine e composizione dell’universo, costituito per circa un quarto di materia oscura, una forma di materia, differente dalla materia ordinaria di cui è composto tutto ciò che conosciamo, che non abbiamo ancora mai osservato e di cui non sappiamo quasi nulla.
Una delle ipotesi più accreditate vede la materia oscura composta di particelle pesanti chiamate WIMP: anche se debolmente, le WIMP possono produrre radiazione di vario tipo, e questa rappresenta la finestra attraverso cui i fisici sperano di riuscire a identificarle. E ci si aspetta che anche la materia oscura possa produrre radiazione gamma.
In un secondo lavoro, i ricercatori mostrano come la distribuzione delle sorgenti deboli cambi con l’energia della radiazione che ci arriva. Questa nuova analisi permetterà di identificare la natura di queste sorgenti, e di approfondirne la loro comprensione. “Questi risultati saranno importanti anche per lo studio di una delle componenti più sfuggenti ma intriganti dell’universo: la materia oscura”, sottolinea Nicolao Fornengo, dell’Università di Torino e INFN impegnato nello studio.
“È ormai chiaro che la produzione di raggi gamma da parte della materia oscura è estremamente debole. Quindi una profonda comprensione delle sorgenti astrofisiche, come quello ottenuto in queste due nuove analisi, consentirà di rimuovere a un livello senza precedenti il fondo dominante che nasconderebbe il debolissimo segnale di materia oscura a lungo cercato”, conclude Fornengo.