Il tema dello spreco alimentare è sempre al centro dell’attenzione, spesso oggetto di dibattiti, la questione è sempre a portata di mano. Quanto si spreca? Perché si spreca?Ma soprattutto: qual è l’impiego che si fa del cibo avanzato? Su questi temi, si è concentrata l’Università di Edimburgo a Maggio del 2018 conducendo uno studio, pubblicato on line ad Agosto.
La ricerca ha posto l’accento su uno degli aspetti più importanti in tema di spreco alimentare: troppe volte il cibo viene scartato perché “brutto” ossia non conforme agli standard delle norme europee per la commercializzazione.
I prodotti scartati
Lo studio scozzese ha mostrato come le norme relative agli standard cosmetici imposti dall’Unione Europea condizionino fortemente lo spreco alimentare specialmente in campo ortofrutticolo impedendo la commercializzazione di molti prodotti. Una rilevante quantità di prodotti ortofrutticoli, infatti, non arriva sui banchi dei mercati. Motivo? Perché non sono “belli”. Molti di questi scarti, inoltre, non vengono ridistribuiti e quindi sono cestinati al primo passaggio della catena distributiva. E’ bene sottolineare, a tal riguardo, che la catena produttivo – distributiva del prodotto ortofrutticolo produce una vasta quantità di gas serra, altamente inquinante per la nostra atmosfera, per cui è proprio il caso di dire: oltre il danno anche la beffa!
Alcuni dati
I numeri dello spreco alimentare in campo ortofrutticolo sono veramente inquietanti, ogni anno in Europa vengono sprecati fra i 3,7 e i 51.5 milioni di tonnellate di frutta e verdura considerati con corrispondenti ai canoni di bellezza imposti dall’UE. Circa 4,5 milioni delle somme indicate interessano la Gran Bretagna. Il 17% di tutto il prodotto destinato ai banchi di frutta e verdura viene sprecato direttamente all’interno delle aziende produttrici.
Fra i prodotti per lo più oggetto di spreco troviamo le patate, si sprecano circa 7,9 milioni di tonnellate all’anno di patate, parliamo del 55% della produzione media. Patate ma non solo, anche carote cipolle e brassicacee, esteticamente non accettabili, sono eliminate facilmente, le cifre parlano di circa 12 milioni di tonnellate all’anno. La coltivazione di patate e carote, fra le altre cose, è quella che produce la maggior parte del gas serra legato allo spreco agricolo in Europa e Regno Unito. Su un totale di 426 milioni di CO2 prodotta dal settore agricolo nei paesi dell’Unione Europea, il 5% è correlato alle coltivazioni di frutta e verdura buttate via a causa dell’aspetto estetico.
I Requisiti estetici UE
E’ necessario, a questo punto fare, una distinzione fra spreco e perdita di cibo. Lo spreco è quello che viene praticato intenzionalmente, legato a negligenza, cattiva gestione o legislazioni non lungimiranti, mentre la perdita di cibo è quella causata da malfunzionamenti tecnici o da infrastrutture inadeguate.
La maggior parte dello spreco di prodotti ortofrutticoli avviene per due cause che sono strettamente in relazione fra di loro ossia: le imperfezioni estetiche e l’eccesso di coltivazioni. Gli agricoltori, da un lato devono rispettare gli obblighi contrattuali di approvvigionamento e assicurare la produzione di stabilite tonnellate di prodotto, dall’altro sono costretti ad eliminare gran parte del raccolto nel rispetto dei dettami imposti dalla Comunità. Tali verifiche estetiche, tuttavia, rientrano all’interno di un quadro più generale di controllo qualitativo di frutta e verdura e ha come scopo quello di mettere sul mercato prodotti freschi e salubri a tutela dei consumatori. l’Articolo 14 del General Food Law Regulation Europeo stabilisce infatti che “gli alimenti a rischio non possono essere immessi nel mercato”. Le norme di commercializzazione servono a definire dei parametri condivisi per la classificazione degli alimenti, si tratta di raccomandazioni ben precise per agevolare gli scambi commerciali fra diversi Paesi. In questo quadro generale, stabilire dimensioni e forme consentite agevola imballaggio e spedizione; per cui standardizzare il prodotto rende più semplici i passaggi rispetto a dover imballare frutta o ortaggi di dimensioni diverse e forme strane. Se da un lato questi dettami facilitano la catena distributiva, dall’altro le medesime leggi agiscono favorendo lo spreco alimentare.
Gli altri attori della filiera
Le norme europee non sono le uniche responsabili dello spreco in campo ortofrutticolo, anche rivenditori, supermercati e clienti giocano la loro parte. Oltre ai parametri nazionali e internazionali la filiera agroalimentare è piena di pregiudizi arbitrari legati puramente a ragioni commerciali.
I rivenditori spesso sono i primi attori del teatro dello spreco nel campo agroalimentare ignorando la possibilità di reimpiegare lo scarto: ad esempio delle carote fuori misura possono essere convertite in carote baby e così via.
Non bisogna, inoltre, accantonare l’influenza di supermercati e catene commerciali fornite da tanti produttori agricoli. Il sistema commerciale oligopolistico spesso incappa nell’errore di valutare sempre con gli stessi standard qualitativi il materiale alimentare ricevuto dai produttori.
Di contro, anche i consumatori, abituati a vedere frutta e verdura di bell’aspetto tendono a scegliere i prodotti più “belli” associandoli al concetto di bontà.
A questi fattori si aggiungono altre componenti come la pigrizia di dover lavorare un prodotto prima di poterlo mangiare o l’idea che non vale la pena impiegare del tempo o soldi per un prodotto apparentemente non perfetto. Tutto ciò non fa altro che incrementare il fenomeno dello spreco alimentare a livello generale.
Frutta e verdura, in effetti, non sono le sole categorie di alimenti oggetto di spreco, stando al Boston Consulting Group sono 1.6 miliardi le tonnellate di cibo buttato ogni anno, circa un terzo di quanto prodotto a livello globale, di cui 500 milioni di tonnellate sprecate solo a livello di produzione, 350 milioni durante lo stoccaggio e altrettanti durante il consumo. In questo quadro il prodotto ortofrutticolo rappresenta la fetta più consistente.
Come evitare lo spreco?
Sono tante le proposte per evitare lo spreco alimentare e migliorare la situazione. Gli autori scozzesi suggeriscono di agire su produttori, rivenditori e consumatori, mentre BCG ha ideato un programma di 13 azioni da mettere in pratica ai vari livelli della filiera. A questi si affiancano iniziative private e pubbliche e molti provvedimenti legislativi. Fra i casi più interessanti che riguardano il nostro Paese c’è sicuramente il progetto “Non Spreco perché” nato in seguito all’approvazione della Legge Gadda.
L’Italia non è il solo Paese a differenziarsi per l’attenzione sull’argomento, anche la Francia gioca un ruolo molto importante, è stata la prima fra le nazioni europee a stabilire l’obbligo di ricollocare prodotti in scadenza/ invenduti tramite le ONG territoriali.
La catena Intermarché nel 2014, a tal proposito, ha lanciato la campagna Inglorious Fruits and Vegetables”, una sorta di inno alla bruttezza di frutta e verdura messe in vendita in appositi settori al 30% in meno. Questi, sono soltanto alcuni esempi di iniziative messe in campo a livello locale, ma esistono anche provvedimenti di più ampio raggio come l’Agenda 2030 sottoscritta da 193 Paesi dell’ONU che sancisce l’impegno su scala globale di aziende, enti e cooperative per raggiungere alcuni obiettivi di Sviluppo Sostenibili entro l’anno 2030. Sono circa 17 gli impegni sottoscritti e il numero 12 riguarda proprio il dimezzamento dello spreco mondiale.