Nell’età moderna e contemporanea il calcio e la letteratura hanno sempre avuto uno stretto legame perché, come dice l’allenatore di pallavolo Mauro Berruto, lo «sport è uno strumento che può cambiare la società. In meglio, naturalmente. Può farlo modificando il tessuto urbano delle nostre città, ma anche cambiandone l’umore. Tuttavia, perché questa possibilità si trasformi in realtà, occorre che lo sport trovi la forza di cambiare tutti noi: i cittadini. Nella mia sfera di vetro, sogno città che mettono al centro delle loro politiche lo sport, affinché la pratica sportiva possa essere diritto, ma anche dovere civico, investimento sul capitale umano, scuola di legalità, modo di costruire identità» (Sognare la città, investire sull’uomo, in «Avvenire.it», 2.12.2015). A nostro avviso, la parte migliore del calcio è quando si riconcilia con la gente, con la città, quando i tifosi e i calciatori si abbracciano per una rete o per la vittoria finale, quando alla festa vi partecipano senza paura di trovarsi al centro di qualche rissa, intere famiglie. Con questi presupposti, il calcio diventa insegnamento di vita.
Lo scrittore francese Jean Cocteau amava la letteratura sportiva che considerava lo specchio della vita psicologica del Novecento, cogliendo, attraverso una varietà di stili e di linguaggi, la realtà instabile e biunivoca come lo è lo sport, le diverse sfere umane, «in una complessiva esperienza letteraria che merita di essere valutata sia per il suo valore testimoniale sia in quanto elaborazione artistica che trasmette una rappresentazione pluralistica e pluridimensionale dello sport». Un’analisi che ci ribalta su due sentimenti che spesso troviamo nel calcio come nella vita di tutti i giorni, ci viene in sostegno da un volume sull’argomento, La solitudine dell’ala destra, di Fernando Acitelli (Einaudi, 1998). Un profilo in versi, giacché il calcio sovente è poesia (185 poesie per altrettanti calciatori passati alla storia: Orsi, Combi, Attilio Ferraris IV, Bernardini, Nils Liedholm, John Charles, Pelè, Garrincha, Bobby Moore, Best, Jascin, Gigi Meroni, Jairzinho, Rivelino, Gerd Muller, Johan Cruijff, Baggio, ecc., senza dimenticare gli eroi sfortunati che hanno dovuto fare i gregari per una vita o che hanno dovuto interrompere la carriera per un incidente, come quella di Franco Liguori, interrotta da Benetti in uno contrasto), la storia poetica e struggente di un manipolo di eroi, a cominciare dai pionieri in mutandoni larghi, da foto ingiallite di campionati mondiali fino al fascino della collezione di album della Panini con le famose figurine, che un po’ tutti i maschietti, da piccoli, si sono cimentati a completare, quasi in una forma metafisica. Le prime figurine venivano attaccate con colle artigianali (non esisteva ancora la figurina adesiva; quella più usata era fatta con farina e acqua), creando un’atmosfera intima col giocatore, in completa solitudine, come quella dell’ala destra citata dal volume di Acitelli che giocava senza compagni di reparto, come si possono trovare a centrocampo, in attacco e in difesa. L’ala sinistra non era considerato un solitario, un “solista”, in quanto era considerato come seconda punta e giocava fianco a fianco col centravanti. E si sognava con le gesta dei propri beniamini, dalle parate dei portieri ai gol dei bomber. Riportiamo qui la poesia dedicata alla grande ala destra brasialiana Garrincha:
E al funerale tutta Rio si fermò.
Fino al giorno prima
rantolava sghembo fra i tetti
e la luna.
Le sue finte erano da artrosi,
da cirrosi.Livido il viso.
“Ti stringo la mano, Garrincha,
e ti pago da bere!” urlava
il barista vedendolo cagnolo
poverissimo.
Un Carnevale in nero
con carri non allegorici
mosse in ritmo chiuso.
Il Capo dello Stato quasi si irritò
per la nazione in pianto.
“Ed io, allora?” sembrò dire.
“E tutto questo per un’ala destra?”
Sul binomio linguaggio e calcio che si fondono per una realtà che spesso diventa mito del desiderio, del divertimento o della sfida, si è espresso anche lo scrittore peruviano Mario Vargas Llosa, Nobel per la letteratura: «È un fatto che oggi numerosi linguaggi critici hanno la funzione di creare mitologie, inserire l’irreale nella realtà quotidiana, dare una dimensione immaginaria e fantastica dell’esperienza umana. […] Anche la critica del calcio è una formidabile macchina creatrice di miti, una favolosa fonte di irrealtà per la sete di fantasie che hanno le grandi folle».
Non mancano apporti poetici per descrivere le emozioni del calcio. Il poeta spagnolo Rafael Alberti dedicò una poesia, Ode a Platko, pubblicata sul quotidiano «La Voz de Cantabria», il 27 maggio 1928, al portiere del Barcellona, l’ungherese Franz Platko:
Né il mare,
che è saltato in fronte a voi, senza essere in grado di difendersi.
Né la pioggia. Né il vento, che è stato il più tuonò.
Né il mare, né il vento, Platko,
biondo Platko il sangue,
il portiere nella polvere
scaricatore.
Nessuno, nessuno, nessuno.
camicie blu e bianche in onda…
Un altro intenso componimento poetico ci è stato lasciato da Umberto Saba, Goal, un altro elogio ad un portiere, che è in realtà il dramma di un portiere che ha subito una rete importante, e che sdraiato con la faccia a terra non vuole alzarsi per la vergogna, per non affrontare l’amara realtà. Un compagno cerca di consolarlo e lo aiuta ad alzarsi, ma dagli occhi del portiere spuntano delle lacrime di dispiacere:
Il portiere caduto alla difesa
ultima vana, contro terra cela
la faccia, a non veder l’amara luce.
Il compagno in ginocchio che l’induce
con parole e con mano, a rilevarsi,
scopre pieni di lacrime i suoi occhi.
La folla- unita ebrezza – per trabocchi
nel campo. Intorno al vincitore stanno,
al suo collo si gettano i fratelli.
Pochi momenti come questo belli,
a quanti l’odio consuma e l’amore,
è dato, sotto il cielo, di vedere.
Presso la rete inviolata il portiere
– l’altro – è rimasto. Ma non la sua anima,
con la persona vi è rimasta sola.
La sua gioia si fa una capriola,
si fa baci che manda di lontano.
Della festa – egli dice – anch’io son parte.
Infine due parole sul ruolo sociale del calcio di questi ultimi tempi, un metodo per riconoscersi e ritrovarsi in quei valori assoluti quali arte, religione, bellezza, fino a diventare metafora della vita che si riconosce nei dribbling ubriacanti, nei gol e nelle grandi parate dei portieri, attraverso il tifo, le urla della gente, in uno sfogo contro il malessere di una città, nel volume Splendori e miserie del gioco del calcio (Sperling & Kupfer, 1997), dello scrittore uruguaiano Eduardo Galeano: «La storia del calcio è un triste viaggio dal piacere al dovere. A mano a mano che lo sport si è fatto industria, è andato perdendo la bellezza che nasce dall’allegria di giocare per giocare. In questo mondo di fine secolo, il calcio professionistico condanna ciò che è inutile, ed è inutile ciò che non rende. E a nessuno porta guadagno quella follia che rende l’uomo bambino per un attimo, lo fa giocare come gioca il bambino con il palloncino o come gioca il gatto col gomitolo di lana. Il gioco si è trasformato in spettacolo, con molti protagonisti e pochi spettatori, calcio da guardare, e lo spettacolo si è trasformato in uno degli affari più lucrosi del mondo, che non si organizza per giocare ma per impedire che si giochi».