Chi è senza peccato?
I re dell’Africa di Giuseppe Resta edito da i Libri di Icaro è un romanzo che coinvolge tutti, perché ci chiama tutti in causa. I Re dell’Africa, infatti, è la fotografia di un mondo che va allo sbando, il nostro, in cui ognuno di noi, nel nostro piccolo è colpevole, nessuno escluso. Attraverso una serie di storie apparentemente slegate tra loro, l’autore ci accompagna in un cammino fatto di avidità, danaro, corruzione, evasione fiscale e inquinamento ambientale.
Il romanzo, tra la commedia sociale e il noir, racconta in modo cinico vicende di illegalità diffusa, discariche abusive, cibi avvelenati, ma racconta anche di gente che si ribella a questo marciume morale e che combatte per la propria terra e la propria gente.
Giuseppe Resta è pugliese e anche questa, come gran parte d’Italia, è soffocata da un’avidità crescente che opprime i più deboli e arricchisce gente senza scrupoli. In questa intervista l’autore ci racconta alcuni risvolti del suo romanzo e ci parla della curiosa voce narrante che ha scelto: il Vento.
Giuseppe Resta è nato a Galatone, è un architetto con qualifica nell’edilizia di qualità e nel restauro, si è sempre battuto per la difesa e la valorizzazione del territorio. È cofondatore della rivista culturale A Levante e nel 2003 ha pubblicato un libro sulla storia dell’architettura del Palazzo Marchesale di Galatone. Tra i suoi libri ricordiamo la raccolta di racconti “Scirocchi Barocchi” e il romanzo “Quel millenovecento69” (I Libri di Icaro). Giuseppe Resta ha redatto diverse guide sulla sua terra e ha contribuito alla stesura di saggi e racconti.
Abbiamo avuto il piacere di scambiare qualche battuta con Giuseppe Resta sul suo romanzo e su alcune abitudini di scrittura.
I re dell’Africa di Giuseppe Resta
Il suo romanzo è una sorta di denuncia verso la corruzione delle persone, che, inevitabilmente, crea danni, a volte irreparabili, ad altre persone, specialmente deboli, indifese e povere. C’è stato un evento o una notizia che l’ha spinta a scrivere su questo argomento?
Più che altro è un ritratto di un’intera società che globalmente ha perso il senso della misura e del rispetto. Molto tesa al rapido arricchimento immediato, senza pensare che tante scorciatoie si ritorcono contro le stesse persone che le percorrono. Così si danneggia l’ambiente dove tutti viviamo, si hanno danni alla salute di tutti, si deturpa una terra ipotecando l’uso anche turistico. Consumiamo tutto. La corruzione nel romanzo non è circoscritta a dei “cattivi”, non è solo parte di una certa “politica” o di un solo determinato ceto sociale o culturale, ma prende tutti, in una sorta di “illecita normalità” diffusa. Purtroppo ad ispirarmi non è stato un solo evento, ma tanti. Ogni giorno sui giornali leggiamo di attentati all’ambiente e alla salute. Può essere anche che rimaniamo colpiti, che ci indigniamo, ora che indignarsi è di moda, però poi siamo gli stessi che gettano i mozziconi a terra o lasciano la spazzatura o le bottiglie di birra per strada. Tutti abbiamo qualche colpa, alcuni piccola, altri grande. Ma tante colpe piccole diventano una colpa grande. Come scriveva De Andrè “Per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti”.
Mi piace molto l’idea del Vento come voce narrante. Una trovata insolita e originale. Che caratteristiche ha il suo narratore?
Volevo che la voce narrante fosse quella di un’essenza estranea al mondo umano, distaccata, che fosse quella di un’entità che tutto vede e tutto sa, alla quale è impossibile mostrare solo le pubbliche virtù nascondendo i vizi privati. Che potesse aiutare a collegare le microstorie in quella finale confluenza. Voce ironica, a volte aulica, a volte cinica. Cangiante e presente. Proprio com’è il vento.
I re dell’Africa è un’opera amara, cinica e molto realistica. Qual è stato l’argomento trattato durante la stesura che le ha arrecato maggiore dolore?
Tutti i temi trattati sono per me drammatici. Sapere che in questa terra così poco industrializzata, che potrebbe avere un turismo di qualità legato alla salubrità, debbano esserci zone devastate dalla crescita continua di casi di cancro solo perché non abbiamo cura del nostro stesso ambiente dove viviamo mi sgomenta. E mi fa arrabbiare. Ma chi poi compie questi atti, mi chiedo, pensa di essere immune a tutto?
Lei è pugliese. E’ molto legato alla sua terra ed è attento alle dinamiche socio-economiche che la riguardano. Nel suo romanzo c’è posto anche per la Puglia? E se sì, su quale aspetto si è focalizzato?
Il problema trattato è certamente pugliese. I casi di Cerano o Taranto sono sotto gli occhi di tutti. Caparezza nel suo “vieni a ballare in Puglia” mi pare abbia ben evidenziato tante discrasie pugliesi nascoste sotto il sole, il mare e il vento. Cogliano, questo comune di fantasia, potrebbe trovarsi in provincia di Foggia, così come in provincia di Lecce, sul Gargano o sull’estrema punta del tacco di Leuca. È la mentalità diffusa da colonia che stiamo accettando tutti noi quando ci facciamo sottomettere per due collanine di perline false da questi “Re dell’Africa”.
I re dell’Africa è una discesa nell’inferno dell’illegalità diffusa e delle discariche abusive, un argomento di scottante e scomoda attualità. Secondo lei, è vero l’impegno delle autorità, anche a livello mondiale, nella salvaguardia ambientale? Oppure è solo propaganda?
Secondo me si è arrivato al momento di non ritorno. Anzi penso che per certi versi l’abbiamo anche superato. Campiamo sui combustibili fossili da duecento anni, ma per accumulare tutte queste energie ce ne sono voluti milioni di anni. Le energie rinnovabili diventano l’unica soluzione, insieme al risparmio energetico. Da quello che è emerso nell’ultimo summit mi pare che la presa di posizione stia diventando globale, ancora poco incisiva, ma rispetto a pochi anni fa tanto già è cambiato. E poi sono assolutamente convinto che l’impacchettamento con le plastiche debba essere drasticamente vietato. Moriremo di plastica. Ripeto: mi aspetto più una presa di coscienza di ciascuno di noi che l’imposizione dei capi dei governi. Una spiaggia è fatta di granelli di sabbia, piccolissimi. Ma insieme creano enormi distese. Questo per dire che se già ognuno di noi avesse comportamenti virtuosi l’ambiente già ne gioverebbe.
Lei ha scritto altri libri e racconti. Ci parla di qualche sua abitudine di scrittura? Non so, scrive sempre la sera, le piace raccogliere spunti su un taccuino, fotografa, preferisce fare ricerche…
Non sono uno con un metodo uguale sempre. Solitamente inizio da un fatto che mi stimola, qualcosa che leggo o che sento, anche per strada, parlando con la gente. O una situazione paradossale della quale vorrei capirne i motivi e i meccanismi. Il titolo “I Re Dell’Africa”, per esempio l’ho ascoltato per caso in una comitiva che scherzava vicino a me. E l’ho subito adottato. Mi sembrava illuminante. Poi elaboro, penso, ordino. A volte appunto qualche piccola cosa su un taccuino. Ma dentro di me formo già una storia che parte sempre da un ragionamento. Quando mi metto a scrivere ho già delle idee definite, poi scrivendo il romanzo comincia a vivere di vita propria. Si comincia a scrivere da solo. La sera è certamente un buon momento per scrivere, anche fino a notte. Dovendo impegnarmi nel mio lavoro durante le giornate la scrittura deve avvenire sempre nel tempo libero. Sempre tutto al computer. Mi trovo benissimo a scrivere lì. Lo scritto a penna è solo per poche cose, pochi appunti. Per fissare delle idee. I Re Dell’Africa l’ho scritto prevalentemente di sera. Poi corretto e elaborato anche in diversi pomeriggi domenicali, ma nasce di notte. Naturalmente, dopo l’idea, vado molto di ricerca per documentarmi e scrivere cose che siano plausibili e veritiere. Copio, incollo, appunto. Poi verifico e inserisco. Ma non in ogni caso è stato così. Molti racconti di “Scirocchi Barocchi” sono stati scritti di prima mattina, appuntando idee nate mentre mi rasavo la mattina. Guardarsi allo specchio mentre si pensa a quello che si vorrebbe dire mi pare sempre un buon esercizio.