In passato, sembra che il problema maggiore dell’editoria sia stata la scarsa qualità tipografica nello stampare i volumi. Nel Regno di Napoli, ad esempio, la questione sulla qualità della stampa coinvolge il napoletano Lorenzo Giustiniani, il quale con il volume Saggio storico-critico sulla tipografia del Regno di Napoli (Napoli, Orsini, 1793) si scaglia contro l’ignoranza e il vile interesse al guadagno degli stampatori, «i quali non sapendo essi stessi cosa farsi, in un continuo avvinazza mento inchiostrano le carte, e le imprimono nella più barbara maniera, senza affatto andare né punto né poco a ben situare le forme sul piano del torchio, e colla dovuta uguaglianza de’ margini; a ben comporre l’inchiostro, e a dimenare spesso i mezzi, e batterli poi con egual forza dappertutto la forma affin di non far disuguaglianze di tinta. Non badano affatto agli sporchi; né al laceramento de’ fogli, allo sommovimento delle forme, alla rottura delle lettere, e a quanto altro essi avrebbero a sapere e badare attentamente per far sortire una buona edizione» (ivi, p. 196).
Non secondario, restando nel Meridione, vi era l’annoso problema della diffusione, del commercio del libro che in altre parti d’Italia davano lustro ai regni. Nello stesso periodo del Giustiniani, il letterato ed editore napoletano d’adozione Giuseppe Maria Galanti (era nato a Santa Croce del Sannio), dopo il fallimento della sua attività editoriale, mise in luce «i limiti oggettivi della circolazione libraria nell’Italia meridionale: la modestia della domanda, tale che erano pochi i librai in grado di mantenere un giro d’affari internazionale; la scarsa affidabilità dei librai napoletani, a sua volta legata alla scarsa affidabilità della domanda stessa, al cumulo di giacenze legato al mancato rispetto delle associazioni; il clima di vera e propria conflittualità tra i vari librai, la mancanza di capitali e di materie prime, dati gli elevati costi della carta e dei dazi gravanti sulle importazioni di carta e di libri» (Castaldo, L’editoria nel regno di Napoli e la circolazione del libro francese nel XVIII secolo, in «Rivista di Terra di Lavoro. Bollettino on-line dell’Archivio di Stato di Caserta», Anno IX, n. 1-2, aprile 2015).
Sono passati più di due secoli e i problemi dell’editoria e distribuzione di cui sopra, non hanno ancora trovato una esauriente soluzione. Partendo da un articolo di Arianna Spezzaferro, una giovane filologa napoletana,Crisi dell’editoria: la colpa è realmente dei lettori?, pubblicato il 20 marzo 2018 sul quotidiano on line «Libero Pensiero», dove leggiamo che se c’è una crisi dell’editoria in Italia, probabilmente è dovuta dal fatto che nell’era «delle digital humanities e della cultura online, l’oggetto libro sembra oramai aver perso il suo fascino e la sua bellezza. […] Di tutto ciò ne ha risentito il settore dell’editoria: qualcuno ha parlato di crisi del settore editoriale, altri hanno parlato di una vera e propria farsa. […] Ma nel nostro paese, il vero problema non riguarda il consumo di libri bensì la produzione».
I termini più negativi di fatturato colpiscono gli operatori della media e piccola editoria. E questo periodo di pandemia, di lockdown, dovuto alla diffusione del virus C-19, ha creato ancora maggiori danni. Eppure, in un articolo apparso sulla testata on line «Il Post», Com’è andata l’editoria italiana, infine (28 gennaio 2021), «secondo gli ultimi dati di Nielsen [società di servizi statistici], l’editoria di varia – i libri di narrativa e saggistica, quelli per bambini e ragazzi venduti nelle librerie fisiche e online e nella grande distribuzione, gli e-book e gli audiolibri – è cresciuta del 2,4 per cento rispetto al 2019, per un totale di 1,54 miliardi di euro. È un risultato importante se si considera la diminuzione di vendite avvenuta nella prima parte dell’anno, in particolare durante la chiusura delle librerie».
E allora, facendo nostra una domanda presente nell’articolo della Spezzaferro, Di chi è la colpa della crisi dell’editoria? (che in termini non di soldoni alimenta, più generalmente, una crisi culturale), la giriamo a due editore, tra i più attenti alla qualità più che alla quantità delle pubblicazioni, già scrittori e poeti alternativi in proprio, con un certo numero di buoni volumi pubblicati: uno del nord (Carlo Marcello Conti della Campanotto di Udine) e uno del sud (Stefano Donno di Quaderni del Bardo Edizioni di Lecce).
Dunque, Di chi è la colpa della crisi dell’editoria? Ma prima dovremmo sgombrare il campo da ogni dubbio: è davvero in crisi l’editoria? Come si esce da questa crisi? Nello specifico: cosa propongono, nella fattispecie, queste due case editrici? C’è una crisi dell’editoria diversa tra il sud, il centro, il nord e le isole maggiori d’Italia?
Ci dice Carlo Marcello Conti: «L’affermazione “l’editoria è in crisi” merita un chiarimento: se esaminiamo la produzione di libri che vengono immessi sul mercato, osserviamo una continua, consistente, presenza di nuovi titoli e di nuovi autori, l’offerta di libri è notevole, anche il numero degli editori è in evidente crescita in questi ultimi anni. Ciò che è carente è la presenza di una platea di lettori che, negli anni, vediamo diminuire, insieme con il desiderio di leggere un libro, anche nelle fasce di età in passato più attratte dalla lettura.
Se di colpa vogliamo parlare, penso manchi nella nostra società la volontà di fermarsi a riflettere, a pensare, andando al di là dell’effimero, del sensazionale, del presente. Una società la nostra che ha paura di porsi domande impegnative e di darsi risposte profonde, alla ricerca del pascaliano “divertissement”, avida di emozioni forti e passeggere, poco attenta alla parola scritta, piuttosto, attratta dalla immagine. La scuola come la famiglia sono poco incisive.
Uscirne non è così semplice. Ci vogliono tempo e volontà di cambiamento. Ciò di cui c’è bisogno è un rinnovamento della società di cui non vedo segni consistenti. Sono necessarie formazione, educazione, crescita civile, servono esempi concreti di comportamenti saggi, dettati da ragionamento, non solo impulso, occorrono progetti e visioni lungimiranti (quindi uomini lungimiranti). La Casa editrice Campanotto, con le Riviste in particolare, cerca da sempre, attraverso un confronto redazionale permanente, di dare una visione del presente che vorremmo aiutasse a trovare spunti utili a capire come uscirne.
A un editore appare evidente che le vendite sono molto più alte al Nord rispetto a altre zone del Paese».
Per Stefano Donno, invece, «l’editoria italiana non è in crisi, sta solo attraversando un momento di transizione che coincide con un salto di paradigma in quelle che sono le strutture socio-politiche che agiamo come attori sociali (e da cui siamo agiti), e che influenzano in qualche modo anche il mondo del libro, della lettura, del fare stesso editoria. Un salto di paradigma che è strettamente legato al mondo post-pandemico che ha riscritto i parametri di tempo, luogo, spazio di ascolto e lettura del libro, e delle modalità di manifestazione fenomenologica, biologica ed ontologica del libro e del leggere.
Ci sono diverse croci che alcuni editori dovrebbero assumersi di portare sulla spalla, e fare mea culpa… sia quelli che sono stampatori con codici ISBN (che pubblicano di tutto e intasano con ciarpame il mercato editoriale facendosi pagare), sia quelli che hanno l’aura di essere editori engagée e che utilizzano però un doppio binario: esordienti, autori non proprio eccellenti, poeti diversamente maturi, che pagano e pagano talmente salato per uscire con quel dato marchio editoriale, che riescono a finanziare magari i libri di quei nomi più presenti nel panorama culturale italiano a cui ovviamente non si può chiedere una lira. Ma in fondo rimane sempre una guerra tra poveri.
Nella mia esperienza editoriale, ritengo che sia fondamentale ripensare la filiera produttiva del libro, ovvero ‒ come ho fatto io ‒ trovare il santo graal della costruzione e distribuzione editoriale con l’e-commerce attraverso portali web di commercio elettronico (anche generalisti va bene) che garantiscono un esatto monitoraggio di produzione-distribuzione-vendita more geometrico del libro.
Secondo ultimi dati al Nord, la città di Milano ha più lettori rispetto addirittura a molte regioni del Sud. Al Sud c’è una vera e propria deriva del libro e dell’editoria, anche se le diverse associazioni di editori (come ad esempio l’A.P.E., associazione pugliese editori, di cui faccio parte) sembrano creare movimento interessante in termini di presenza, visibilità e vendita».
In conclusione, se il dato della qualità dei libri che si pubblicano in Italia è scarso, in compenso, nonostante i lockdown, nel 2020 l’editoria ha vissuto un anno di effervescenza, con vendite di libri cresciute del 2,4%, nonostante la chiusura di molte librerie, posizionandosi al secondo posto nell’industria culturale e al terzo in Europa, dietro Germania e Regno Unito. Quindi, è riuscita a far crescere il proprio fatturato, nonostante ‒ come già detto ‒ la chiusura fisica di molte librerie su tutto il territorio nazionale che rimane il settore più colpito del sistema editoriale, soprattutto all’improvvisa crescita d’acquisto on line che sta gradualmente inserendosi nella produzione editoriale, tra l’altro, favorendo ai volumi in catalogo, che hanno venduto poche copie, di avere una seconda vita, «una grande opportunità per dare più importanza al catalogo e per evitare la morte di quei libri che, avendo venduto poche centinaia di copie, non conveniva ristampare. Grazie al digitale e alla stampa on demand, tutti i libri possono essere sempre disponibili» (Marinella Zetti, Libri, su le vendite e digitale in crescita. Finalmente gli editori hanno capito come usarlo, in “ilfattoquotidiano.it”, 21 ottobre 2021). Dunque, si ritorna al dubbio iniziale: se la quantità di volumi prodotti ha incrementato vendite e quindi un più sostanzioso fatturato, si può dire la stessa cosa per la qualità del prodotto-libro?