I rischi finanziari derivanti da un possibile smantellamento dell’unione monetaria, e dunque di ridenominazione valutaria sull’impatto del nostro sistema bancario è un rischio che trascende i rischi derivanti dal cambiamento di valuta, e coinvolgerebbe l’intera area euro avendo effetti negativi sui sistemi bancari. Secondo la docente di economia degli intermediari finanziari presso l’università La Sapienza di Roma è necessario un rafforzamento dell’unione monetaria che scongiuri il rischio di uscita unilaterale dell’Italia dall’euro.
Volendo analizzare i presupposti per uno smantellamento dell’euro in termini puramente finanziari, un possibile rischio di disgregazione dell’unione monetaria è dovuto all’incompletezza del progetto europeo. Questo progetto, dal 1992 è cresciuto fino a 1999, anno di entrata nell’unione monetaria, comportando grande fiducia da parte dei mercati finanziari verso la moneta unica. Questo ha comportato un beneficio consistente, ovvero quello dell’appiattimento dei rischi sui rendimenti dei titoli di stato, quindi è avvenuto un appiattimento dei tassi di interesse. Ma i mercati, in un secondo momento, hanno realizzato che le proprie previsione erano eccessivamente ottimiste. E’ un comportamento tipico dei mercati finanziari quello di passare, anche improvvisamente, da un eccesso di ottimismo a un eccesso di pessimismo. A essere sottovalutata è stata in primo luogo l’eterogeneità dei paesi dell’Unione monetaria, del loro assetto strutturale ed economico. Fino al 2008, e quindi fino a prima della cosiddetta Grande recessione, il rischio di ridenominazione dell’eurozona e della sostenibilità dei paesi più fragili è stato sottovalutato. Dopo il 2008 è infatti tornata una divaricazione dei tassi di interesse. Lo spread, ovvero il differenziale di rendimento dei titoli di stato in rapporto a quelli tedeschi, è composto da due componenti: una nazionale e l’altra europea. La componente nazionale comprende il rischio di sostenibilità di un paese. A incidere in questo sono la riduzione dei tassi di crescita di un paese, bilancia commerciale in negativo e aumento del debito pubblico. Questi punti portano a domandarsi se questi paesi più fragili saranno in grado di ripagare i propri debiti. Peggiorano le aspettative degli investitori sul fatto che tali paesi riescano a ripagare i propri debiti, ovvero sulle probabilità di insolvenza del paese.
Il rischio di ridenominazione valutaria dell’aera euro diventa più concreto quando gli investitori internazionali cominciano ad avere dubbi sulla solidità dell’unione monetaria e sulla sua durata.
Le fasi della crisi
Una fase più recente della crisi finanziaria dell’Unione europea è quella dei titoli sovrani, dovuta alla scoperta dei disastri economici della Grecia. Questa crisi ha avuto risvolti differenti da paese a paese. Dal 2010 in poi sono aumentati a dismisura gli spread sui titoli. Alcuni paesi come la Germania hanno subito uno shock sul proprio debito sovrano. Durante il primo semestre del 2011in Italia lo spread era inferiore ai 200 punti base. Nel novembre del 2011 è arrivato fino ai 550 punti base, ovvero al 5,5 per cento. Lo stress sui titoli di stato si è dunque realizzato in un numero di mesi estremamente ridotto, portando alla dimissione dell’allora primo ministro Silvio Berlusconi.
La crisi di questi paesi periferici, cosiddetti PIIGS, ovvero Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna, è stata acuita da una perdita di fiducia degli investitori internazionali sul progetto europeo. In termini finanziari quello che è accaduto è una fuga dei capitali dai paesi periferici ai paesi più forti. Ovvero la vendita dei titoli di stato dei paesi considerati più deboli per acquistare quelli dei paesi forti come la Germania e il Lussemburgo. Questo ha comportato che i paesi forti hanno giovato di un cosiddetto “premio di sicurezza” dovuto alla solidità del loro sistema finanziario, a discapito dei paesi periferici. Quindi è andata a realizzarsi una situazione che ha visto un avvantaggiarsi dei paesi forti a svantaggio dei paesi meno forti.
Un altro effetto contagio è stato quello sui sistemi bancari dei paesi stressati. Essendo le banche domestiche i grandi detentori dei debiti pubblici dei paesi di appartenenza, queste banche residenti hanno registrato perdite di valore del loro portafoglio finanziario. Il sistema bancario italiano ha quindi subito grosse perdite da questo circolo vizioso, comportando una sottocapitalizzazione. Nella seconda metà del 2011 fino al 2012 il sistema bancario italiano viene percepito dagli investitori come molto fragile. Questo ha comportato inevitabilmente che il costo dell’approvvigionamento è cresciuto molto. Proprio questo ultimo fenomeno ha comportato l’innescarsi di un pericoloso circolo vizioso: l’intreccio tra rischio bancario e rischio sovrano in una relazione biunivoca. I rischi stato banche si alimentano a vicenda.
Una possibile soluzione
Una possibile soluzione a questo problema può essere rappresentato all’istituzione di una unione bancaria europea, progetto sul quale si dibatte, quello di unificare le banche dell’unione monetaria. Questo scongiurerebbe il problema del fatto che il salvataggio dal fallimento di una banca troppo grande comporterebbe il rischio di crack dell’intero sistema finanziario del paese. Concettualmente il passaggio da too big to fail a too big to sale.