In italiano la maggior parte dei nomi finiscono o con una a (“casa”, “poeta”, “tavola”) o con una o (“lupo”, “quaderno”, “tavolo”) o con una e (“nipote”, “pesce”, “base”). Per fare il plurale dei nomi i –a e in –o sostituiamo l’ultima vocale con una i se sono maschili e con una e se sono femminili (“poeti”, “lupi”, “quaderni”, “tavoli”, “tavole”, “case”).
I nomi che finiscono in –e, invece, hanno il plurale sempre in –i, siano essi maschili o femminili: “il nipote” / “i nipoti”, “la nipote” / “le nipoti”, “il pesce” / “i pesci”, “la base” / “le basi”. (Ovviamente, qui ci risparmiamo le “eccezioni”, come i plurali uguali al singolare …).
Anche in napoletano si hanno questi tre tipi, ma per distinguere il plurale dal singolare non basta la vocale finale, per il semplice fatto che le vocali finali della parole napoletane, come ormai sappiamo, hanno un suono indistinto, evanescente. Noi tuttavia riconosciamo bene il plurale, e questo grazie alla presenza di almeno uno fra questi tre elementi:
• L’articolo (’o quaderno / ’e quaderne)
• Il raddoppiamento della consonante iniziale nei femminili plurali preceduti dall’articolo (’a femmena / ’e ffemmene)
• Il cambiamento della vocale interna alla parola (’o pesce / ’e pisce, ’o nepote / ’e nepute, ’o verme / ’e vierme, ’o monaco / ’e muonace)
Per i nomi che hanno il maschile e il femminile distinguiamo i due generi analogamente:
• Con l’articolo (’o lupo / ’a lupa)
• Col cambiamento della vocale interna alla parola (’o piecuro / ’a pecura, ’o bizzuoco / ’a bizzoca, ’o tammurro (ma oggi si dice ’o tamburo) / ’a tammorra (il tamburello tipico usato nelle danze popolari napoletane antiche e ancor oggi dai gruppi musicali)
• Per il femminile plurale poi (ci ripetiamo) c’è sempre il raddoppiamento dopo l’articolo (’e ccase)
Ricordiamo poi che in napoletano (come abbiamo detto parecchie lezioni fa) oltre al maschile e al femminile c’è anche il neutro, e noi lo riconosciamo dal fatto che dopo l’articolo ’o si raddoppia la consonante iniziale del nome (’o ppane, ’o ffurmaggio).
Alcuni nomi cambiano senso a seconda che siano maschili o neutri. Ad esempio quando compriamo il caffè, noi compriamo ’o ccafè (neutro perché quantità non numerabile), ma se prendiamo “un caffè” al bar prendiamo nu cafè (maschile), e solo questo si può volgere al plurale, perché è un’unità e non una quantità indistinta.
Per capire bene si noti la differenza tra queste frasi:
Quanta cafè m’aggio pigliato ’a stammatina? Tre o quatto.
“Quanti caffè ho preso da stamattina? Tre o quattro”
Quantu ccafè aggio accattato? Miezu chilo.
“Quanto caffè ho comprato? Mezzo chilo”
Quantu ccafè m’aggio pigliato ’a stammatina? A llitre!
“Quanto caffè ho preso da stamattina? Litri!”
A questo punto diamo qualche cenno sui significati.
Ci sono nomi che derivano dall’italiano in due forme diverse, che hanno acquisito due diversi significati:
’o posto è il luogo o il posto di lavoro
’o puosto è invece un sito fittato a scopo di vendita, e di solito s’intende quello della frutta e verdura
Miezo è il “mezzo” nel senso di “metà”
Mezzo è il “mezzo” di trasporto o “lo strumento”, e talvolta per metafora anche la “via”, “scappatoia”, il modo di riuscire a fare qualcosa, ad esempio nell’espressione ingiuriosa, spesso usata scherzosamente, Cirche ’e mezze ’e te ne jì (“Cerca il modo più consono per …toglierti dai piedi, per andartene”)
Notiamo ancora un uso tutto napoletano del nome, che ripetuto due volte diventa locuzione avverbiale:
T’accumpagno vico vico /sulo a te che si’ n’amico, dice la nota canzone di Claudio Mattone ‘A città ’e Pulecenella”, cioè “Ti accompagnerò tra i vicoli (= da un vicolo all’altro)”.
Così si può andare casa casa (“di casa in casa”), o muro muro (“rasente i muri”).
E così ora, cazze cazze (= con estrema disinvoltura, come se niente fosse…), ce jammo a magnà ’o rraù. Bona dummeneca!