I veri protagonisti sono i luoghi
“I Guardiani delle Aquile” di Maria Elisabetta Giudici, è il nuovo romanzo della scrittrice, edito da Castelvecchi. Un viaggio affascinante nella storia e nelle magiche steppe dell’Asia. Due uomini, un italo irlandese e un ufficiale russo in missione diplomatica si troveranno coinvolti in una guerra di spie, che, per buona parte dell’800, vide contrapporsi gli imperi coloniali di Gran Bretagna e Russia.
In questo avvincente thriller storico, il protagonista, Tristan Ek, imbarcato su una nave diretta nelle Indie, si imbatte in Arkadjy Makarov, un ufficiale russo. Entrambi attraverseranno mari e deserti fino a incontrarsi nelle steppe dell’Asia centrale. I due uomini si muoveranno tra le grandi carovane, i cosacchi, i cacciatori di schiavi, in un paesaggio da sempre terra di conquista.
Il libro raccoglie tutte le emozioni che l’autrice ha accumulato nel corso dei sui viaggi. I luoghi visitati diventano i veri protagonisti della storia, perché sono essi stessi storia e espressione di identità. Con l’autrice viaggeremo attraverso l’Atlantico, l’Oceano Indiano, la Malesia, la Russia, l’ India e l’Asia centrale. Tutti luoghi battuti dall’autrice nel corso della sua vita e che in questo romanzo ritornano in tutta la loro bellezza e fascino.
Maria Elisabetta Giudici è nata a L’Aquila ma è vissuta a Roma. Di professione architetto, il suo primo romanzo, Il re di carta, edito da Lit Emersioni, ha vinto il premio Histonium 2019. Con il secondo romanzo La foresta invisibile, edito da Castelvecchi, ha vinto il premio Acqui Terme 2020, il premio inediti Etna Book 2020 e il premio Pegasus Cattolica 2021.
Abbiamo avuto il piacere di rivolgere qualche domanda all’autrice a cui abbiamo chiesto qualche informazione in più sui protagonisti del libro e sui luoghi citati
“I Guardiani delle Aquile” di Maria Elisabetta Giudici
“I Guardiani delle Aquile” è, come i suoi precedenti lavori, un romanzo storico. E’ sempre stata attratta dal genere storico oppure nel corso degli anni ha pensato di approcciarsi ad un genere diverso?
Per adesso sono affascinata dal romanzo storico e credo che continuerò per un bel po’. Mi piace la ricerca, mi piace studiare le persone, i luoghi, la cultura di una determinata epoca. Il romanzo storico come tale è un dialogo stretto tra immaginazione e realtà. Il mio ha delle contaminazioni di genere, c’è del thriller, del romanzo di avventura, della narrazione spionistica. Con il romanzo storico si viaggia su un doppio binario: è la ricerca del possibile da inserire in una realtà ben precisa, con i suoi modi di essere, la sua cultura. È questo che mi appassiona. Essere credibili in un periodo storico che non è il mio.
Tristan Ek e Arkadiy Makarov sono i protagonisti della sua storia. C’è un tratto che accomuna entrambi personaggi nonostante l’appartenenza a due mondi completamente diversi?
Sono convinta che chiunque sia rinchiuso in un luogo per molto tempo, prima o poi desideri uscirne. I miei due protagonisti diventano consapevoli di questo, escono dal loro vivere quotidiano e abbandonano quella brutta sensazione che è il disperdersi nella perenne ripetizione di se stessi della cosiddetta civiltà, si immergono nel continuo movimento nomade di un territorio selvaggio, sconosciuto, primordiale e di straordinaria bellezza, finendo con l’innamorarsi del loro stesso muoversi. È questo che fortemente li accomuna.
Lei ha affermato che in questo terzo romanzo ha riassunto le emozioni di quasi tutti i suoi viaggi e che i veri protagonisti sono in realtà i “luoghi”. Ce n’è uno che ha riportato ne “I Guardiani delle Aquile” e il cui ricordo l’ha emozionata particolarmente mentre scriveva?
Si. L’intero Uzbekistan mi è rimasto nel cuore. Per me ha rappresentato un “altro mondo”, un territorio espressivo di identità, e come tutti i luoghi che amiamo diventa la patria dell’anima, tutto ciò che ci determina: un luogo in particolare è stato il deserto del Kizilkum, un enorme spazio vuoto che si estende per 200km2, tra Kazakistan, Turkmenistan e Uzbekistan. E con lui Bukhara, il maggiore dei suoi centri abitati, la città storica dell’Uzbekistan, oggi nominata dall’UNESCO patrimonio dell’umanità. Catturata da Gengis Khan e Tamerlano fu abitata dalle varie corti reali che occuparono l’Ark una massiccia fortezza all’interno della quale si rivive la storia che ha caratterizzato questo territorio così tormentato.
Tutti e tre i suoi libri sono stati vincitori di concorsi letterari. Anche in base ai complimenti ricevuti, si è fatta un’idea di ciò che colpisce e coinvolge di più i suoi lettori?
Non saprei esattamente. Penso che le descrizioni appassionate dei luoghi siano il mio punto forte, inoltre penso che le storie passate che racconto siano ugualmente attuali. Nel mio primo libro il re di carta si parla di migrazioni, problema ancora oggi all’ordine del giorno. Nel secondo di rivoluzioni, guerre, rivolte, sentimenti, nel terzo di ritorno alla natura, sentimento oggi quanto mai attuale.
Lei ha viaggiato molto, si è recata anche in Uzbekistan? Se sì, cos’è che l’ha colpita maggiormente del popolo uzbeco?
Il popolo uzbeko è un popolo meraviglioso e di una ospitalità fuori dal comune. Chi di loro vive nei deserti vive nelle Yurte, le tende fatte con la lana di pecora. Ecco se ne incontri una è impensabile non fermarti e raccontare a tutta la famiglia riunita la storia della tua vita. Le famiglie Uzbeke sono di solito piuttosto numerose e i suoi componenti preferiscono vivere tutti nella medesima abitazione. La loro ospitalità riflette una delle più antiche e nazionali tradizioni. In passato l’ospitalità degli Uzbeki era considerata una regola fondamentale e una legge morale. Si ha la sensazione che in quei luoghi così aspri e apparentemente respingenti non si sia mai soli, che ci sia sempre qualcuno pronto ad accoglierti e aiutarti.