Già ai tempi dei Romani, con l’affermarsi delle terme, presero corpo i giochi con la palla, cui erano riservati spazi esclusivi come lo sferisterio. Per es. negli Epigrammi, Marziale ci dice che il gioco con la palla era uno degli sport più diffusi a Roma: «Lascia la palla: il campanello delle terme suona. Continui a giocare? Tu vuoi tornare a casa dopo esserti lavato nella sola acqua Vergine» (XIV, 163). In altre occasioni ha scritto: «Non ti preparano al bagno la palla o il pallone o la paganica o i colpi privi d’effetto su un nudo palo, né tendi le curve braccia nella vischiosa palestra, né afferri correndo i pesanti e polverosi palloni; a te basta correre presso le limpide correnti dell’acqua Vergine, o dove il toro arde d’amore per la fanciulla sidonia» (VII, 32).
I giochi con la palla si differenziavano a seconda dell’attrezzo usato. Per es. la pila paganica era una palla di media grandezza, piena di piume: è ancora Marziale che ce la descrive in Una palla di piume: «Questa palla gonfia di piume compresse è meno morbida di un pallone, più dura di una palla» (XIV, 45); la pila trigonalis (una palla da tre) era invece una piccola palla dura, piena di crine: il gioco consisteva nel disporre tre persone a triangolo che si lanciavano l’attrezzo con le mani: «Se sei capace di lanciarmi con un colpo veloce di sinistro, sono tua. Non ci riesci? Incapace, dai la palla a un altro» (XIV, 46); il follis (palla gonfia d’aria) era un vero e proprio pallone di cuoio, pieno d’aria, cui giocavano fanciulli e anziani: i giovani erano esclusi come ci dice sempre Marziale: «Andate via, o giovani: a me si addice una vita tranquilla: questo giuoco della palla è fatto per fanciulli e vecchi» (XIV, 47); infine l’harpastum, gioco di derivazione greca con una palla ovale tra due squadre di una quindicina di giocatori, l’antesignano del moderno rugby.
Occorre dire che oltre ai giochi con la palla e quelli circensi con gladiatori e belve, presso i Romani si praticavano altri sport come il nuoto e la scherma. Il nuoto era uno sport che i Romani conoscevano molto bene, praticato quasi quotidianamente in quanto era fondamentale nell’addestramento dei soldati che praticavano anche la scherma: si allenavano con una spada di legno scoccando fendenti ad un palo. Un altro gioco, che serviva anche come addestramento militare, era la corsa coi carri. Ce lo ricorda il poeta Orazio nei suoi versi della I Satira del primo libro: «l’impeto dei corsieri sciolti dalle sbarre trascina i cocchi, 1’auriga incalza con i propri cavalli quelli che lo precedono, senza curarsi dei sorpassati, che arrivano all’ultima ora». Un’altra attività “sportiva” era la caccia. È ancora Orazio a raccontarcelo, nell’Epistola all’amico Lollio: «Levati di buon’ora e il rigore lascia della Musa scontrosa per poterti guadagnare anche tu, come il tuo amico, il pranzo con le fatiche della caccia: occupazione comune dei forti Romani, giovevole al buon nome e alla salute, perché ti permette di superare il cane nella corsa e il cinghiale nella forza» (Ep. I, 18).
Ma c’era pure chi era contrario ai giochi per rassodare il fisico. Questi era Seneca, il quale nell’Epigramma a Lucilio (XV), suo amico, così si esprime «… abbi cura soprattutto della salute dell’animo e poi di quella del corpo, che non ti costerà molta fatica se vorrai star bene. Infatti, o mio Lucilio, è un’occupazione sciocca e indegna di un’intellettuale esercitare i muscoli, ingrossare il collo, potenziare i fianchi: sebbene il peso sia generosamente cresciuto, non raggiungerai mai né la forza né il peso di un bue».