Una pratica gentile
I Fil Food di Valeria Trabattoni edito da Mursia è un libro appassionante, interessante e utile. E’ appassionante perché il linguaggio dell’autrice è chiaro, diretto e gentile, come le pratiche e i suggerimenti di cui ci parla nel libro; è interessante perché del rapporto conflittuale con il cibo se ne parla tanto, ma solo quando la situazione è diventata patologica; è utile proprio perché Valeria Trabattoni ci invita a riflettere sui nostri atteggiamenti quotidiani quando ci rapportiamo al cibo e ci invita a scoprire, attraverso di esso, cos’è che ci sta dicendo il nostro inconscio: le oscillazioni alimentari sono solo il sintomo, impariamo a cercare la causa.
In questa bellissima intervista, Valeria Trabattoni ci accompagna in un mondo che vale la pena esplorare: il Nostro. Grazie a tanti consigli utili, all’introduzione di argomenti di cui abbiamo sentito parlare ma che non abbiamo mai approfondito seriamente, ognuno di noi può trovare la strada giusta, con gentilezza, per affrontare i nostri disagi, imparare a riconoscerli e “combatterli” senza scontro, ma con pacifica accoglienza
Intervista all’autrice
Nel suo libro lei affronta una tematica molto attuale e delicata: il nostro rapporto conflittuale con il cibo. Cosa l’ha spinta ad approfondire tale argomento?
L’esperienza personale. Nella mia famiglia il cibo ha sempre avuto un ruolo importante. Come scrivo nel libro, infatti, sono figlia di ristoratori e sono cresciuta nella cucina del ristorante. Sin da piccola osservavo il modo in cui le persone si comportano davanti al tavolo del buffet o nelle occasioni in cui il cibo è protagonista. Ho iniziato, credo inconsciamente, a unire i puntini e a comprendere quanto la relazione con il cibo ci identifichi.
Purtroppo, spesso la mente interferisce e prende il sopravvento, portandoci a cercare o rifiutare il cibosenza più tenere in considerazione i bisogni del corpo.
Il mio stesso modo di nutrirmi è cambiato moltissimo negli anni ed è stato spesso fonte di grande sofferenza. Poi ho iniziato a capire che potevo usare le oscillazioni alimentari per comprendere i desideri più profondi che stavo trascurando. Il sintomo, quindi, può diventare il nostro più grande alleato quando smettiamo di combatterlo: è un approccio rivoluzionario al disagio che ho imparato grazie alla meditazione.
In I Fil Food lei introduce il concetto di mindfulness. Perché è necessario parlare di tale pratica per comprendere appieno l’argomento del libro?
Mindfulness è un termine recente che sta ad indicare una pratica antica, quella della presenza mentale. Sia nella filosofia occidentale che nella tradizione spirituale indiana o buddhista il richiamo al presente è fondamentale. Gli stoici, per esempio, propongono il concetto di “attenzione” intesa come continua vigilanza che ci permette di osservarci con un certo distacco. Vale lo stesso per alcune pratiche di meditazione, come quelle che invitano a portare l’attenzione sul respiro o sulle sensazioni del corpo. Questa forma di consapevolezza implica un atteggiamento accogliente e non giudicante e ci permette sia di diventare coscienti dei nostri automatismi, sia di disinnescare il pilota automatico e acquisire quindi nuove abitudini.
Mi piace moltissimo un passaggio del suo saggio nel quale lei afferma che se siamo sintonizzati sull’esperienza del fallimento, è possibile che non riusciamo ad ottenere ciò che desideriamo o comunque non riusciamo a mantenerlo a lungo, un po’ come accade per le diete. E’ difficile sbloccare questo meccanismo mentale?
Sì! Vorrei essere più soft, ma la verità è che qualsiasi cambiamento richiede una buona dose di impegno, di energia, di determinazione. Credo che nulla di grande possa essere fatto o raggiunto senza questo tipo di atteggiamento. C’è una bellissima frase che dice “Easy choice, hard life. Hard choice, easy life”. Ecco, decidere di cambiare è il primo passo, a cui ne seguono altri. Bisogna mettere in conto che il percorso sia tortuoso, non lineare, fatto di alti e bassi. Proprio per questo la chiave è smettere di mantenere il focus solo sull’obiettivo e iniziare a goderci il viaggio. Diversamente siamo sempre sotto pressione e ci perdiamo la bellezza della quotidianità. Peggio ancora, finiamo per identificarci sempre di più con l’obiettivo perdendo di vista altri aspetti, altrettanto importanti, della nostra vita e di noi stessi. La pratica del mindful eating è un grande aiuto sia per attivare il cambiamento, sia per vivere con serenità anche le fasi del percorso.
Un altro concetto fondamentale che inserisce nel testo è quello di Mindful eating. Di cosa si tratta?
Come accennavo prima, il mindful eating è una pratica. E’ un invito ad osservare la nostra relazione col cibo, a tornare in contatto con il corpo, con le sue esigenze e a coinvolgere tutti i 5 sensi nell’esperienza. La pratica affonda le sue radici nella mindfulness e, più in generale, nella meditazione. E’ una via per recuperare un rapporto sereno con se stessi ed implica coraggio, gentilezza e perseveranza. Non si tratta né di una dieta né di una prescrizione, anzi, il mindful eating ci permette di abbandonare l’approccio della dieta (restrizione – perdita di controllo) attraverso e grazie al recupero del contatto con le sensazioni del corpo, tra cui quelle di fame e sazietà. E’ in sintesi una via per liberare il cibo da tutte le idee con cui lo abbiamo sovraccaricato e rinascere giorno dopo giorno, pasto dopo pasto. E’ un percorso e richiede tempo, pazienza, cura. Ma soprattutto è un messaggio di amore e piena accettazione di noi stessi, della realtà e anche del rapporto col cibo.
Lei promuove eventi e percorsi orientati alla ricerca della felicità. Molti degli impedimenti che non ci permettono di raggiungere questo traguardo sono le ossessioni. Ci può spiegare come si generano e se c’è un modo per evitare di restarne intrappolati?
Il primo passo è sicuramente diventare consapevoli dei nostri pensieri ossessivi e iniziare a osservarli con un certo distacco. Sia la filosofia che la meditazione sono un grande supporto perché facilitano il decentramento e la capacità di coltivare uno sguardo imparziale. Lo step successivo è rendersi conto che c’è altro: l’incontro con la pluralità di visioni, di prospettive, di idee in questo senso è fondamentale perché ridimensiona il potere del pensiero ossessivo e soprattutto ci restituisce parti di noi che finiscono per essere dimenticate proprio a causa dell’attenzione ossessiva che riponiamo su certi temi, situazioni, abitudini. Ogni processo di guarigione passa da qui: da recuperare parti di noi a cui, negli anni, abbiamo tolto spazio, vita, possibilità di esprimersi. Piano piano le ossessioni perdono forza, hanno meno presa e, anche grazie all’aiuto di professionisti, possiamo imparare a sostituire certe idee con altre più funzionali.