È ormai coscienza diffusa che il pianeta sia entrato in un’epoca di profondi cambiamenti climatici e sicuramente il futuro delle generazioni desta profonde preoccupazioni. Eppure gli effetti della concentrazione atmosferica di CO2 sulla temperatura sono un’antica acquisizione della scienza: nel 1896, infatti, Svante Arrhenius formulò la legge che enunciava che “se la concentrazione di CO2 aumenta in progressione geometrica, la temperatura aumenta in progressione aritmetica”; di conseguenza il raddoppio della concentrazione di CO2 comporta una variazione di temperatura di 4.1 °C. La verifica dell’evoluzione storica del fenomeno è riportata dalla “curva di Keeling” che relaziona concentrazione di CO2 e temperatura nell’arco di tempo dal 1850 (quando la concentrazione di CO2 era di 280 ppm) ad oggi (415 ppm).
A più di cent’anni dalla formulazione della legge di Arrhenius, nel 2014 l’Intergovernamental Panel on Climate Change (IPCC) ha presentato il suo 5° report sui cambiamenti climatici descrivendo proiezioni, condotte tramite modelli matematici, degli effetti fisici, chimici, biologici e sociali dei futuri cambiamenti climatici. L’IPPC fu istituito nel 1988 dalle organizzazioni ONU, WMO (World Metereological Organization) e UNEP (United Nations Environment Programme). L’allarme degli scienziati ha portato gli stati del mondo alla sottoscrizione dell’accordo sul clima di Parigi del 2015.
Non è compito di questa breve nota discutere delle cause dell’aumento della concentrazione di CO2 nell’atmosfera, né delle strategie da adottare a livello globale per contrastare il fenomeno. Qui si vuole invece, segnalare un lavoro particolarmente innovativo, pubblicato recentemente sulla rivista scientifica americana Current Biology da un team di scienziati inglesi ed americani, coordinati da Lloyd S. Peck del British Antarctic Survey. A differenza da tutti i precedenti studi sui cambiamenti climatici, che hanno registrato dati fenomenici passati o presenti ed hanno condotto estrapolazioni dai dati ottenuti, allo scopo di prevedere l’andamento futuro dei fenomeni, nel presente studio viene effettuato un esperimento di modifica ambientale per registrarne gli effetti.
L’ambiente prescelto è stato il fondale marino prospiciente la base scientifica inglese Rothera, nella Penisola Antartica (Lat. 67 °S, Long. 68°W) e le specie studiate sono state quelle previous di piccoli invertebrati marini bentonici. L’esperimento è consistito nel piazzare piastre riscaldanti a pochi centimetri dal fondale che inducevano un aumento di temperatura dell’acqua marina di 1 o 2 °C (aumento di temperatura marina rispettivamente previsto nei prossimi 50 e 100 anni). E’ da sottolineare che nei mari antartici non c’è alcuna variazione stagionale della temperatura del mare. Dopo 3 mesi si sono studiate le differenze di composizione della fauna tra quella originale e quella crescita a temperature superiori. L’impatto termico osservato è stato molto rilevante: i tassi di crescita degli animali sono raddoppiati; la crescita aumenta molto più di quanto teoricamente atteso. Ma il dato più interessante è stata la diminuzione della biodiversità con un prevalere di una singola specie su tutte le altre. La specie dominatrice è stata quella di un piccolo briozoo Fenestrulina rugola.
In conclusione, l’esperimento conferma pienamente la prospettiva della drastica riduzione della biodiversità che ha portato alcuni scienziati a parlare della fase attuale come sesta estinzione di massa nella storia della vita sul nostro pianeta.