C’è una filosofia ben precisa alla base del secondo album di hUMANOALIENO (al secolo Macs Villucci), intitolato semplicemente “hUMANOALIENO 2” (Isola Tobia Label), e che si può riassumere così: “La diversità declinata da occhi non conformati, che può diventare alienazione se il panico prende il sopravvento”.È un punto di vista che anima tutte le undici canzoni del disco, che esce oggi per Isola Tobia Label.
Canzoni che hanno in comune “l’immagine di questa condizione paradossale, di una civiltà che si pretende completamente nota, che è invece stereotipata dai ritmi dettati dall’economia, in cui la diversità stenta ad emergere e viene sbattuta in prima pagina solo per essere esorcizzata”. Musicalmente l’album è caratterizzato da chitarre graffianti quanto basta per potersi dire rock, tastiere presenti in omaggio ai retaggi new wave e una sezione ritmica incalzante.
Sono, quelle di Villucci, canzoni d’amore e di lotta, immediate nella loro semplicità, dove l’ambivalenza tra uomo e alieno si fa strada nei testi.
A volte ha la meglio l’umano, come in Gramsci, L’Elastico o Se io lavoro (cover del pezzo de Le Orme, band di riferimento per l’autore); canzoni politiche, condite da un’amara ironia, con le quali hUMANOALIENO mette sul banco degli imputati le scelte dei governi succedutisi in questi anni in Italia. Il tema ricorrente sembra essere l’indifferenza che caratterizza il fare umano. Gramsci col suo “Odio gli indifferenti” sembra essere uno dei pochi baluardi del pensiero libero, antidoto alla mancanza di umanismo che caratterizza la nostra epoca.
L’incapacità di scegliere è il tema de L’elastico (“Siamo fatti un po’ così, ma tu sei fatto un po’ di più. Dici: ‘Son tutti uguali, tutti rubano!’. Ma tu non scegli mai!”), nel quale si ipotizza la creazione di un movimento spiccatamente populista, che parla alla pancia degli elettori (Noncuranza Attiva), con un proprio inno: Inno italieno, che provocatoriamente apre il disco. Addirittura, il menefreghismo si fa strada in Non siamo soli, classico spaccato dei giorni nostri, in cui il protagonista è allergico a tutto quello che potrebbe minare la sua condizione di privilegiato (“Odio gli uragani, mi spettinano…”), nell’illusione che questa possa durare per sempre.
Ma anche il tema dell’amore è fortemente presente in questo lavoro. In Disincanto l’amore ferito tenta di rialzarsi, ma invano (“Credimi, oggi guarda a un altro dio, un cliché che non sia il mio”). In Latex, i protagonisti si illudono di ingannare la morte; il sesso diventa una sorta di dipendenza, classico divertissement per non pensare “Come recita quel film in cui non c’è più nessuno al mondo. Come faremo a stare soli io e te e a sconfiggere la morte, baby”). È il tempo che passa che ci rende umani, che ci cambia in maniera inesorabile: questo è il tema di Sembianze, insieme all’amore, questa volta, per se stessi, messo a dura prova dalle delusioni della vita (“Intensa quando vuoi, di rimirarti sazia, il tempo poi ti cambierà”).
Ancora l’amore è presente in Ombrenere, ora declinato dal versante femminile, dedicato a tutte le donne che attendono i loro uomini, nella speranza che la guerra non li sfiguri a tal punto da renderli irriconoscibili (“Le mie ali e le tue non ci reggono più. Mi spegnerò, ti spegnerai? Non è difficile”) .
Altre volte a spuntarla è l’alieno, come in Ballad of Spring (unica canzone in inglese del disco), grido di dolore di H148, il protagonista assoluto del primo album di Humanoalieno, ormai umanizzatosi definitivamente. Ballad of Spring narra dell’emergenza inquinamento che rischia di ferire a morte il nostro bellissimo pianeta (“When the sun of awaited season, just warm, will rehearse, your spring will taste of life, so clean”) e L’astronave, dove la fuga è un misto tra desiderio e vie senza uscita, dove la differenza tra umano e alieno svanisce in virtù del primato dell’esistenza e della verità di ogni singola vita, che è principalmente ricerca di senso (“Il senso delle cose è più vicino e, quando si fa sera, il superfluo mi appare lontano”).
Per un mosaico così vario di situazioni, il suono non poteva che essere il trait d’union, il punto d’incontro tra le diverse sensibilità dei numerosi musicisti che hanno partecipato alla realizzazione di questo disco. Molti di loro (Paolo Scotti alla batteria, Franz Miele al basso, Alberto D’Ari alle tastiere, Enrico Sciaudone alle chitarre) hanno collaborato con Macs Villucci in questi anni, altri (Emilio Silva Bedmar e Gianluca Varone al sax, Maurizio Conte alla batteria, Claudio Borrelli alle chitarre, Lino Muoio al mandolino, Alfredo Iannelli al piano e alla batteria, Antonio Perillo e Angelo Apicerni alle percussioni) sono delle vere e proprie new-entry nella vita artistica dell’autore.
Al compito fondamentale di dare uniformità al disco, ancora una volta, ha pensato la competenza del produttore artistico Cristiano Santini (Disciplinatha, Consorzio Produttori Indipendenti, Dischi del Mulo), che ha reso più omogenee le sonorità delle undici tracce per offrire un marchio di fabbrica, un suono hUMANOALIENO, pregnante, incisivo ed essenziale.