I ricordi, si manifestano per associazioni. Ritornano dopo lunghe assenze, richiamati dal desiderio o dalla necessità di rivivere, di riappacificarci con il passato, con noi, o chissà perché. Questa mattina, mi sono svegliata nel 1958, in una casa in via Olivi, a Treviso. Casa modesta con piccolo giardino, tipica costruzione del dopoguerra. La cucina economica, smaltata, riscaldava quell’unica parte, il cuore, lo stomaco della casa. Gli inverni erano gelidi, ricordo un pigiama di flanella, mamma lo riscaldava ponendolo accanto al fuoco, mi spogliava e me lo faceva indossare.
Poi, avvolta in una coperta, salendo di corsa la scala, mi accompagnava nel mio letto, precedentemente riscaldato con la boule d’acqua bollente. Mi svegliavo, durante la notte, con il naso ghiacciato, mentre il resto del corpo, era protetto da un piumone blu, gonfio, enorme, lo aveva confezionato mia nonna, sacrificando un discreto numero di oche. Oche che una volta arrostite, venivano conservate in vasi di vetro, coperte dal loro grasso.
I vasi, sistemati nella stanzetta più a nord, un vero frigorifero! Solo nel 1962, arrivò a casa un mitico Zoppas… sogno di molte famiglie di allora. E vengo alle associazioni. Nella notte della befana, si svolgeva un rituale a casa mia. Prima di quella corsa verso il sonno, si preparava l’accoglienza per la vecchietta. Mamma quindi, lasciava sopra la stufa, una tazza di latte e un bicchiere di vino rosso (diceva che la befana avrebbe scelto, secondo gusto) e una bella fetta di pinza, dolce tipico per quella festa, tutt’ora in uso. Tutto ciò, serviva a rinfrancare la befana, prima che proseguisse nelle consegne… appesa al filo di ferro, sopra la cucina economica, si lasciava una lunga calza di lana rossa, confezionata a mano, la mattina seguente, per la mia gioia, la ritrovavamo piena di cose deliziose, sempre le stesse, ma molto desiderate e attese.
Trovavamo anche un foglietto, con il ringraziamento della vecchia signora, per il dolce e il vino (il latte non l’aveva bevuto)… Momenti di gioia autentica, che costituiscono un deposito prezioso, inestimabile, assieme a molto altro. Un passato di cose semplici, di avvenimenti cardine, soprattutto di parole e insegnamenti trasfusi. L’anno dopo, un’amichetta, pensò fosse necessario avvertirmi che la befana non esisteva, come pure babbo Natale e la cicogna. Per me fu un duro precipitare dalla fantasia. E, ancora una volta, mamma corse ai ripari. Giusto o meno che fosse, dal punto di vista pedagogico, nella notte dell’epifania del 1959, mi provò che la befana era una realtà. Io la vidi!
Entrò nella mia cameretta… e dal sacco, in via eccezionale, trasse una bellissima bambola di pezza, che lasciò sul comodino. Io finsi di dormire, il cuore andava a mille! La luce fioca dal corridoio, illuminava appena il suo viso, uno scialle nero le copriva i capelli, se i suoi tratti mi sembrarono quelli di mamma, accantonai subito l’idea. Quando chiuse la porta alle spalle, gridai con quanta voce avevo: “mammaaaa! La befana!!! Io l’ho vistaaaa”. I miei genitori si precipitarono da me… papà in pigiama, mamma vestita a metà… condivisero la mia gioia e quella epifania, il meraviglioso dono di lasciarsi sorprendere, ancora.
Foto generata con Copilot per Cinque Colonne Magazine