Helena Janeczek vince il Premio Strega 2018 con La ragazza con la Leica, il romanzo pubblicato nel 2017 per le edizioni Guanda, la storia di Gerda Taro, la prima fotoreporter caduta in guerra, con il quale ha precedentemente vinto il Premio Bagutta edizione 2018.
Nata a Monaco nel 1964, da una famiglia di ebrei polacchi naturalizzati tedeschi, vive da molti anni nel nostro paese e attualmente lavora a Milano come lettrice di Letteratura straniera alla Mondadori e collabora con Nazione Indiana, blog letterario di cui è cofondatrice e Nuovi Argomenti. Ha scritto per giornali come La Repubblica, L’Unità, il Sole 24Ore e Pagina 99.
Il suo primo libro in italiano, Lezioni di tenebra, autobiografico, pubblicato da Mondadori nel 1997 e ripubblicato nel 2011 da Guanda, ha vinto il Premio Bagutta Opera Prima e il Premio Berto e tratta il tema di una memoria tabù, quella della deportazione di una madre a Auschwitz che il ricordo filiale riscatta con dolore. Nel 2002 pubblica il romanzo Cibo (Mondadori, 2002), un mosaico di storie che affrontano il rapporto di donne e uomini con il cibo, il corpo e i meccanismi del desiderio. Nel 2012 segue Bloody Cow (Il Saggiatore), pamphlet visionario sulla “Mucca Pazza” e la storia di una ragazza inglese prima vittima del morbo.
E infine Le rondini di Montecassino, romanzo tradotto in diverse lingue, dove racconta la partecipazione di polacchi, pachistani e altre nazionalità dimenticate a una delle battaglie più tragiche della seconda guerra mondiale. Con quest’opera, l’autrice ha vinto il Premio Napoli, il Premio Pisa e il Premio Sandro Onofri. A Gallarate, dove vive, organizza il festival letterario SI Scrittrici Insieme.
Con il romanzo vincitore dello Strega la Janeczek osa una scrittura complessa per raccontare la sua storia così come complessa è la struttura delle sequenze narrative. Lei stessa in una intervista ci spiega dove si annida questa complessità: “Ho voluto adottare una prospettiva soggettiva che schiva gli excursus descrittivi più tradizionali, perché tutto è interiorizzato dai personaggi”, quindi il racconto pur in terza persona non ha il tradizionale narratore oggettivo: il personaggio di Gerda ci arriva da una polifonia di voci, quella di chi l’ha conosciuta, ammirata e amata. La memoria degli altri ne ricostruisce voce, volto, immagine, energia, la magia delle sue foto, il suo coraggio in uno sguardo che dagli anni ’60 risale alla Germania pre-hitleriana e all’Europa antifascista, testimoniando la storia di questa giovane intrepida fotografa e la storia del nostro doloroso passato di Europei.
Gerda, morta a soli ventisette anni sul campo di battaglia, compagna di vita e avventure di Robert Capa, ben più conosciuto di lei, ci viene restituita dalle pagine di questo romanzo in tutta la sua straordinaria personalità, nella sua profonda curiosità per il mondo, nell’acutezza dei suoi scatti fotografici che ce ne mostrano la partecipazione anche emotiva agli eventi di cui era testimone. L’autrice non ha voluto farne una classica biografia ma ha voluto evocare il segreto esistenziale di questa donna, pur nell’esattezza dei fatti su cui ha indagato, esaminandone con cura anche i documenti fotografici, specie dopo il ritrovamento della cosiddetta ‘Valigia Messicana’ contenente buona parte dei negativi scattati da Gerda Taro con la Leica. A proposito ha dichiarato in un’intervista: “Avevo chiaro sin dall’inizio che non volevo scrivere il classico romanzo biografico su Gerda, raccontare solo la storia della ragazza di Robert Capa e dell’eroica fotoreporter morta in Spagna nel 1937. Volevo raccontarla attraverso gli occhi degli altri”.
La scelta quindi di raccontarla attraverso la memoria di tre personaggi chiave Willy Chardack, innamorato di lei e testimone della sua storia con Capa; l’amica di Lipsia, Ruth Cerf; Georg Kuritzkes, ex fidanzato di Gerda, impegnato politicamente nelle Brigate internazionali, è parsa alla scrittrice la dimensione giusta per restituircela intera, fuori dagli schemi in cui spesso le donne sono chiuse e catalogate, schemi che nella sua vita Gerda ha rotto ripetutamente.
“Ho capito che Gerda è un personaggio così forte perché passa come una stella cometa nelle vite degli amici e degli amanti; e sono gli sguardi degli altri che ne restituiscono tutta la luminescenza, tutta l’energia inafferrabile. Questa donna sapeva tirare fuori il meglio dagli altri, come accade quando ti innamori e provi energie nuove, ti senti potenziato…
raccontare di lei attraverso i ricordi dei suoi amici e amori mi permetteva di approfondire che cosa significava vivere in quegli anni per dei ragazzi europei. Anche per questo non mi interessava la prospettiva che parte dal ‘mito americano’ di Capa per arrivare a Gerda”.
Gerda con la sua volontà, la sua determinazione è il fulcro intorno al quale ruotano gli altri personaggi, condividendo i suoi stessi ideali, per esempio la speranza di una soluzione positiva alla guerra civile di Spagna, anche se a volte con timidezze e riserve a lei sconosciute, partecipando della sua energia, amandola, divertendosi, vivendo una quotidianità che anche in tempi oscuri mantiene una incrollabile fiducia nella vita.
Nel romanzo il linguaggio che contiene interessanti ibridi e commistioni linguistiche, come accade per tutte le letterature nomadi (quelle dove lo scrittore possiede forti esperienze esistenziali in culture diverse e si esprime in lingue diverse) e questo ne è certamente un brillante esempio, sposando la verità dei fatti documentati e accertati dal punto di vista storico, produce una verità altra, letteraria, più affascinante e profonda, così come la verità degli scatti di Gerda Taro e Robert Capa vanno oltre la realtà oggettiva che raccontano. Nonostante nel loro uso della macchina fotografica non ci fosse nessuna intenzionalità soggettiva, alla fine tutte le loro emozioni entrano nei loro scatti, perché ogni sguardo è portatore di un’interiorità propria, e nell’immagine catturata si realizza sempre l’incontro tra il soggetto e il mondo. Inoltre quelle immagini fotografate in zone di conflitto producono un forte impatto psichico da cui è impossibile, allora come ora, uscirne fuori indenni.
La Janeczek, si muove dentro la sua storia con abilità e potenti mezzi espressivi oltre che con la scelta audace di una narrazione tripartita e mai convenzionale. L’uso del narratore in terza persona, che utilizza il presente per raccontarsi e il passato per raccontare il ricordo-presenza di Gerda nella vita dei personaggi che la evocano, chiama il suo lettore a misurarsi con una non abituale “alterità” di scrittura, con la pregnanza di una memoria in grado di ricostruire per folgoranti frammenti il senso di una vita e di una morte. L’autrice mescola dati reali e finzione, in un un libro che non è, come lei stessa ribadisce, né biografia romanzata né romanzo storico, ma un vero e proprio romanzo con quella verità specifica della letteratura che, come diceva Calvino, resta tuttora insuperata.