(Adnkronos) – Dai timori di una guerra allargata a quelli di una conflagrazione regionale con gravi conseguenze politiche ed economiche. Sono le ‘nuove’ preoccupazioni alla luce degli attacchi contro navi commerciali (nello snodo cruciale del Mar Rosso) e contro truppe Usa, dopo gli ‘incidenti’ che spesso vedono coinvolti l’Iran e i suoi ‘proxy’ mentre prosegue il conflitto tra Israele e Hamas a Gaza. “La guerra Israele-Hamas è parte di un disegno più ampio dell’asse della resistenza, la strategia controllata dall’Iran per ottenere influenza e potere regionale tramite gruppi, come Hamas, la Jihad islamica palestinese, Hezbollah, Kataib Hezbollah e gli Houthi”.
E’ l’analisi fatta alla Cnn da Christopher O’Leary, ex agente Fbi e in passato responsabile dell’unità preposta per il recupero degli ostaggi, dopo che ieri il ministro israeliano della Difesa, Yoav Gallant, ha affermato che Israele sta combattendo “una guerra su vari fronti”, che “viene attaccato da sette fronti diversi”, Gaza, Libano, Siria, Cisgiordania, Iraq, Yemen e Iran. Secondo O’Leary, “anche se ci sono stati attacchi, sono stati misurati, inclusi gli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso”. Ma, ha messo in guardia, “questi sono avvertimenti di ciò che potrebbe accadere” e “se l’Iran si sporcasse davvero le mani e scatenasse le forze surrogate con tutta la loro potenza, avremmo un vero problema regionale” con il pensiero alle truppe Usa di stanza in Iraq e Siria.
Un’analisi della rete americana – nelle ore del colloquio a Washington tra il ministro israeliano per gli Affari strategici, Ron Dermer (uno dei più stretti collaboratori del premier israeliano Benjamin Netanyahu), e il consigliere per la Sicurezza nazionale, Jake Sullivan – che parla di soldati Usa “sempre più in una linea di tiro pericolosa” e di un “periodo di vacanza teso per la Casa Bianca” con il quadro della sicurezza che peggiora dall’Oceano Indiano (sabato una petroliera è stata colpita da un drone una petroliera) al Mar Rosso, fino a Iraq, Siria, Libano e Israele.
E proprio in queste ore le affermazioni israeliane secondo cui la guerra contro Hamas a Gaza andrà avanti per mesi minacciano, evidenzia l’analisi, di aumentare le possibilità che la guerra possa “sfuggire al controllo” e “trascinare ulteriormente” gli Usa. Il segretario di Stato, Antony Blinken, è atteso nuovamente la prossima settimana in Medio Oriente, secondo fonti citate da Axios.
Lunedì Biden ha ordinato raid aerei contro obiettivi usati dai combattenti di Kataib Hezbollah in Iraq, milizie accusate dagli Usa di un attacco con un drone contro la base aerea di Erbil in cui è rimasto gravemente ferito un soldato americano. Raid aerei considerati da Baghdad un ‘atto ostile’, scattati in risposta all’ultimo di una serie di attacchi contro le forze Usa in Siria e Iraq.
Attaccate più di cento volte dal 17 ottobre da milizie sostenute dall’Iran, secondo dati del Pentagono rilanciati dal Washington Post. Ma non ci sarebbero mai state conseguenze tanto gravi come quelle di lunedì per un militare americano.
Sempre lunedì l’Iran ha accusato Israele per l’uccisione di un comandante dei Guardiani della Rivoluzione, i Pasdaran, in un raid alla periferia della capitale siriana Damasco. Poi ieri il Centcom ha confermato che le forze Usa hanno intercettato nel Mar Rosso una raffica di droni e missili lanciati dagli Houthi dello Yemen.
La Repubblica Islamica e i Pasdaran minacciano da lunedì di “vendicare” la morte di Seyyed Razi Mousavi. Ci sono anche le operazioni della Turchia in Siria e Iraq contro combattenti curdi dopo che nel fine settimana sono morti almeno 12 soldati turchi nel nord dell’Iraq. E un comandante di Kataib Hezbollah, citato dal Post, ha detto senza mezzi termini che gli attacchi contro le forze americane in Iraq sono per il sostegno Usa a Israele nel conflitto con Hamas, ma anche perché il gruppo considera “occupazione” la presenza di forze Usa in Iraq.
E, ha minacciato, “le nostre operazioni continueranno fino alla partenza dell’ultimo soldato americano”. In questo quadro, secondo la Cnn, ‘incidenti’ futuri in cui soldati Usa o asset navali Usa dovessero essere colpiti in modo grave non lascerebbero a Washington altra scelta se non quella di essere “risucchiati nel profondo” in Medio Oriente dopo che gli ultimi tre presidenti hanno tentato il disimpegno.
La situazione, continua l’analisi, è “particolarmente pericolosa” per le truppe Usa in Iraq e Siria (ne restano circa 3.500) nel ‘raggio’ dei gruppi fedeli all’Iran e si fa sempre più sottile la linea tra “risposta proporzionata” e “deterrenza effettiva”. Mentre la possibilità di un’azione militare in Medio Oriente è “l’ultima cosa” che avrebbe voluto dover affrontare l’81enne Biden con l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali del 2024.
Presidente meno popolare della storia moderna, ha tra l’altro già ‘investito’ molto sull’Ucraina che da quasi due anni combatte contro l’invasione russa. E, ha scritto il Washington Post, l’Amministrazione Biden è stata cauta nell’adottare un approccio più aggressivo, con i funzionari Usa che manifestano i timori che un confronto più diretto con l’Iran possa ampliare la conflagrazione regionale.
Il ministro israeliano del gabinetto di guerra ristretto Benny Gantz conferma intanto che la guerra contro Hamas a Gaza procede secondo i piani del capo di Stato maggiore Herzi Halevi e anticipa che potrà anche espandersi ad altre zone, se necessario. Ma non nasconde il suo disaccordo con il Premier Benjamin Netanyahu. “La situazione al confine settentrionale richiede cambiamenti”, ha affermato, denunciando che “la clessidra di una soluzione diplomatica si sta esaurendo.
Vale a dire che se il Libano o il mondo non interverranno, le forze israeliane procederanno a distanziare Hezbollah dal confine. Dopo gli attacchi del 7 ottobre è stato chiaro a tutti che “gli scontri fra di noi erano benzina per i nostri nemici. Ci siamo uniti immediatamente.
Abbiamo dimostrato ai nemici di Israele e al mondo che il potere del Paese è forte e profondo. Ma sfortunatamente negli ultimi giorni c’è chi si permette di tornare al sei ottobre”, ha affermato Gantz, indicando nel ministro per la sicurezza nazionale Itamar Ben Giv il responsabile della frattura originata sulla mancata conferma della commissaria per le carceri, Katy Perry.
“Non siamo al governo per rimanere”, ha precisato dopo aver incontrato Netanyahu, un incontro cui si è confermata la divergenza. “Rimuovere funzionari di rango, in particolare i capi dei servizi di sicurezza, in questo momento danneggia il funzionamento dello stato in guerra e non va bene”, ha commentato il suo partito, sollecitando il Premier a evitarlo. —internazionale/esteriwebinfo@adnkronos.com (Web Info)