Guerra: comunicazione ed informazione potrebbero sembrare essere problematiche di second’ordine rapportate a quanto accade oggi in Ucraina ma in realtà questo conflitto si sta svolgendo oltre che sul campo proprio con la comunicazione e l’informazione.
E’ importante fare un momento di riflessione su questo tema perché sappiamo benissimo che non conta solo quello che accade in uno scenario di guerra ma anche come quegli accadimenti arrivano fuori dal teatro del conflitto.
Chiamatela comunicazione o propaganda poco importa rimarrà sempre il racconto di parte, di una delle parti, di quanto accade realmente e alla fine incide molto perché trova spazio -a volte molto più dell’informazione- presso i mezzi di comunicazione di massa.
Propaganda russa e ucraina, la comunicazione ai tempi della guerra
Si è tanto parlato del discorso del presidente russo Putin nello stadio stracolmo sottolineando le discrepanze e cercando di radiografare ogni singolo fotogramma sia del video che dell’audio, cercando di cogliere sfumatura e passaggi fra le righe sovraesponendo ogni frame.
Arrivano a getto continuo i video, ormai ogni giorno, del presidente ucraino Zelenskiy che rigorosamente in mimetica o abbigliamento militare fa i suoi proclami sull’eroicità della resistenza del popolo ucraino.
Alla fine, al di là delle parole, sembra che sia rimasto il fatto che Putin indossasse un parka italiano costosissimo e Zelenskiy fosse sempre in assetto da guerra per cercare di porgere un racconto che vuole distanziare bene il ricco invasore rispetto al povero invaso.
La cosa ci sta tutta ma continuare a battere su questo non fa altro che alimentare propaganda inutile.
Propaganda (tossica?) e informazione
E’ chiaro che tutto quello che è propaganda risulta essere una comunicazione alla fine tossica e può causare anche inquinamento dell’informazione se a fare quest’ultima si delegano blog e social media che se possono avere dalla loro la “tempestività” di sicuro non hanno l’oggettività e la giusta deontologia nel porgere le news.
Si è tanto polemizzato sulla legge russa che prevede fino a 15 anni di carcere per chi diffonda fake news. Creata una polemica artificiosa sul ritiro di inviati e corrispondenti da parte delle grandi reti e testate dalla Russia. Dimenticato, a bella posta, che la guerra non è in Russia ma in Ucraina. Chi vuole e chi se la sente può andare per fare “cronache di guerra” o meglio ancora “inchiesta di guerra”. Non “tutta la guerra minuto per minuto”.
Nei giorni scorsi si è accostato il nome di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin a quello dei vari colleghi che sono in Ucraina. In realtà quello che faceva Ilaria era ben diverso da quello cui assistiamo oggi con questi collegamenti h.24 dalle varie città ucraine. Ilaria andava in giro, scavava, faceva inchiesta e per questo suo fare ci ha rimesso la pelle ed ancora oggi l’unica cosa che abbiamo non è giustizia ma solo una serie di depistaggi.
Distinguiamo
Per favore distinguiamo chi fa informazione sulla guerra da chi si fa strumento della comunicazione sulla guerra. E’ fondamentale per dare il vero quadro della situazione. Il lessico comune parla di bollettino di guerra e il bollettino tale deve essere. Un memorandum di quanto la guerra produce in maniera secca, precisa ed inequivocabile fatto con i numeri che dicono più di tutto.
Basta con quei teatrini patetici di giornalisti in collegamento perenne tutto il giorno. Gli stessi che saltabeccano da un tg all’altro e da una trasmissione del mattino a una del pomeriggio.
Abbiamo fame di informazione su quanto sta accadendo nella maniera più oggettiva possibile. La comunicazione o propaganda lasciamola ai portavoce delle due parti. Aiutiamo, con la corretta informazione, le persone a capire cosa succede ogni giorno. Se vogliamo andare oltre allora percorriamo il sentiero impervio dell’inchiesta non quello dell’infotainement.
Basta trattare la guerra come l’ennesimo fatto da spolpare voracemente. Togliamo a improbabili trasmissioni televisive e sedicenti esperti nel web la possibilità di proporci opinioni personali a un tanto al chilo. Non replichiamo gli stessi errori dell’informazione sulla pandemia.
Recuperiamo un po’ di dignità professionale se non per noi almeno per le vittime innocenti.