Ottanta anni fa moriva Grazia Deledda, scrittrice, unica donna in Italia a ricevere nel 1927 (per il 1926) il premio Nobel per la letteratura.
Nel suo nutrito carteggio, le lettere agli amici, agli amori della sua vita, a suo marito, ci raccontano come, in quanto donna, sia stata costretta ad una lotta aspra e senza tregua per affermare il suo talento letterario.
Dietro il successo internazionale di Grazia Deledda non c’è solo la sua abilità letteraria, ma anche la sua forte determinazione e la sua straordinaria capacità di promozione di se stessa come scrittrice, che non saranno sconfitte neppure dall’ostilità dell’ambiente letterario che dovette affrontare, prima nella sua isola e poi a Roma.
I suoi stessi concittadini non le perdonarono di essere sfuggita al destino “casalingo” di ogni donna per bene. Tra i rimproveri che l’ambiente nuorese le muoveva c’era anche quello di aver raccontato l’isola impietosamente, nelle sue piaghe e nelle sue miserie, senza apparente riscatto, con una scrittura lucida e insieme dolorosamente coinvolta.
A questi rimproveri la Deledda risponderà affermando che nessuna resurrezione sarebbe credibile senza prima il racconto della via crucis e della crocifissione. Per questo, e non perché non credesse alle speranze che serpeggiavano allora nell’isola attraversata dalle prime idee socialiste, volle raccontare quel dolore, quel martirio percorso da passioni violente, vendette, sacrifici, lotte contro il destino inesorabile, sullo sfondo di paesaggi aspri, selvaggi dove gli uomini si piegano come canne al vento ma restano fissati in una loro invincibile dignità segreta.
La Deledda raccontò il tormento di quella condizione umana con strumenti e atmosfere in parte diverse da quelle del verismo, già nella sua scrittura serpeggiava il decadentismo e si faceva strada una finissima indagine psicologica nella narrazione dei personaggi, uomini e donne sballottati tra l’amore e la morte, il peccato e la redenzione.
Le riviste sarde la ignorarono, quando il resto d’Europa già parlava di lei in termini entusiastici. Ancora più sorprendente ci appare oggi il modo in cui affrontò il livore e l’insipienza degli ambienti colti della capitale.
L’attacco più feroce la Deledda lo subì da Luigi Pirandello, come donna e come scrittrice. Suo marito, Palmiro Madesani, dopo il matrimonio era diventato il suo agente letterario, un agente peraltro abilissimo che seppe salvare la scrittrice dalle trappole editoriali in cui altri scrittori dell’epoca caddero. Pirandello incontrò la coppia nel salotto letterario di Giovanni Cera, allora direttore della “Nuova Antologia” e per tutta la serata chiamò Madesani ripetutamente “Grazio Deleddo”.
Successivamente pubblicò nel 1911 un romanzo dal titolo “Suo marito”, per altro considerato dalla critica un libro mediocre, indegno della sua penna, in cui attaccava il Madesani e attraverso lui la sua famosa moglie, con critiche infondate.
Il risentimento verso la Deledda era rivolto sia verso la donna che verso la scrittrice. Per Pirandello la scrittura femminile era solo una “moda” che non poteva avere cittadinanza tra la letteratura alta in quanto un fenomeno sottoculturale e la Deledda, nonostante, o forse perché in quel momento più famosa e osannata di lui, non faceva eccezione.
Pirandello non si limitò a esprimere questi giudizi nel chiuso di un salotto letterario, ma a parte il suo libro, che era un chiaro pamphlet antideleddiano, rilasciò un’intervista al giornalista francese Maurice Muret che riportò stupefatto l’ atteggiamento dello scrittore sulla prestigiosa testata francese ‘Journal de Debats’ il 21 agosto 1936. I Francesi adoravano la Deledda e la consideravano l’erede dei grandi romanzieri russi di cui la scrittrice era stata strenua lettrice.
La risonanza fu enorme. Nonostante questo la coppia Deledda Madesani non diede nessuna risposta pubblica alla questione. La discrezione, la misura, la dignità appartenevano ad entrambi.
Del resto la fama letteraria che la Deledda aveva sempre cercato non era l’alone dorato intorno alla sua persona, ma l’attenzione alla sua arte in cui credeva fermamente.