Le meduse, creature certamente affascinanti, in alcune situazioni, possono tuttavia essere molto dannose, ad esempio, alcune specie tropicali sono tra gli animali più tossici esistenti. L’aumento delle temperature dell’acqua, l’acidificazione degli oceani e l’eccessiva attività di pesca sembrano favorirne la proliferazione. Sempre più spesso, sulle coste Europee, le meduse si presentano in enormi masse in grado di procurare gravi danni alle aziende di acquacoltura e maricoltura e di bloccare i sistemi di raffreddamento delle centrali elettriche localizzate vicino alla costa. Possiamo trovare una soluzione razionale a questa minaccia emergente?
Un consorzio di quindici istituzioni scientifiche e aziende provenienti da otto Paesi coordinato da Geomar Helmholtz Center for Ocean Research di Kiel ha proposto un’idea innovativa. Mediante il progetto GoJelly, finanziato dall’Unione europea con sei milioni di euro per un periodo di quattro anni, si cercherà di utilizzare le meduse facendole diventare una risorsa. “Nella sola Europa, la specie aliena Mnemiopsis leidyi introdotta mediante le acque di zavorra, raggiunge una biomassa di un miliardo di tonnellate.“, dice Jamileh Javidpour di Geomar, coordinatore del progetto GoJelly.
Nel progetto GoJelly saranno sviluppate, in primo luogo, ricerche di base, dal momento che il ciclo vitale di molte specie di meduse è ancora solo scarsamente conosciuto ed è pressoché impossibile prevedere i fenomeni di proliferazione. “Questo è ciò su cui vorremmo lavorare in modo da ridurre le grandi masse di meduse che raggiungono le coste“, spiega Javidpour.
Contemporaneamente, i partner del progetto lavoreranno al secondo obiettivo della proposta che punta a dare risposte alla domanda: cosa fare con la biomassa catturata?
I ricercatori considerano di impiegare alcune specie di meduse per la produzione di alimenti. “In alcune culture, come quella asiatica, le meduse sono già sul menù. Quando il prodotto finale sarà più vicino al gusto occidentale, e sarà prodotto nel rispetto delle leggi europee sulla sicurezza alimentare, potrà essere favorevolmente accolto dai consumatori“, sottolinea Antonella Leone, ricercatrice del Cnr, Istituto di scienze delle produzioni alimentari di Lecce. Infine, ancora più importante, è il fatto che le meduse contengono collagene, una sostanza molto ricercata nell’industria cosmetica.
Le meduse potrebbero anche essere utilizzate come fertilizzanti in agricoltura o come mangimi in acquacoltura. “I pesci negli allevamenti sono attualmente alimentati con altri pesci catturati, e ciò aumenta il problema della sostenibilità. L’impiego di meduse utilizzate come mangime, oltre che rappresentare un prodotto molto più sostenibile, contribuirebbe a proteggere le risorse ittiche naturali” dicono i ricercatori di GoJelly.
Nel progetto, Antonella Leone e i suoi colleghi presso l’Ispa-Cnr di Lecce studieranno le caratteristiche biochimiche / nutraceutiche / microbiologiche e nutrizionali delle meduse del Mediterraneo e dei mari europei per il loro possibile sfruttamento come alimento, ingrediente alimentare o come fonte di composti bioattivi.
L’Italia, collocata con le sue due grandi isole al centro del Mediterraneo, ha un totale di 7468 km di costa e gli ecosistemi marini sono considerati fondamentali per uno sviluppo sociale ed economico sostenibile. In questo progetto, sulla base di competenze e conoscenze scientifiche già acquisite e della grande cultura alimentare italiana, i ricercatori Cnr, anche in collaborazione con aziende private, svilupperanno l’opportunità di utilizzare il potenziale dell’enorme biomassa di meduse per promuovere lo sviluppo di prodotti innovativi.
Altro obiettivo del progetto è di utilizzare le biomasse di meduse per arginare un altro danno originato dall’uomo. “Gli studi hanno dimostrato che il muco delle meduse può imbrigliare le microplastiche. Pertanto, vogliamo verificare se dalle meduse possano essere prodotti dei ‘biofiltri’. Questi biofiltri potrebbero essere utilizzati negli impianti di trattamento delle acque reflue o nelle fabbriche in cui si produce microplastica“, spiega la ricercatrice di Geomar.