Il ‘Global Gender Gap Report’, redatto dal World Economic Forum, fornisce un quadro particolareggiato che consente di comporre l’indice mondiale del divario tra i generi (Global Gender Gap Index), mettendo a confronto le differenze nazionali secondo criteri economici, politici, dell’istruzione e della sanità. Dal 2006 tale documento consente di comporre un quadro comparativo tra Paesi che evidenzia l’entità della disuguaglianza.
I dati dell’ultimo Rapporto del 2016 vedono il nostro paese collocarsi al cinquantesimo posto sui 144 Paesi considerati, e i calcoli condotti dal WEF rilevano come i cambiamenti per colmare il gap intervenuti negli ultimi tre anni stiano diminuendo in Italia di intensità e valore. A partire da oggi e seguendo le stesse traiettorie, ci vorrebbero nel mondo altri 169 anni per chiudere il gap di genere: ciò significa che una bambina nata nel 2015, in mancanza di nuove politiche ed azioni mirate, avrebbe 171 anni!
Qualche dato al livello europeo:
– per ogni ora lavorata, donne guadagnano in media il 16,4% in meno degli uomini,
– le donne continuano a rappresentare meno di un quarto dei membri dei board e CdA delle aziende pur rappresentando quasi la metà della forza lavoro impiegata (46%),
– le donne hanno un grado di istruzione superiore (oltre il 60% dei nuovi laureati sono donne), ma sono significativamente sottorappresentate negli studi e nelle carriere scientifiche.
E nella scienza? Anche in questo caso la strada è ancora lunga. Un primo dato riguarda il sottoutilizzo del capitale umano femminile: il 40% delle laureate italiane svolge un lavoro che richiede un titolo di studio inferiore. Per quel che riguarda gli occupati nella ricerca e nell’università in Italia si registrano 5.2 donne e 6.8 uomini su mille occupati a fronte dei corrispondenti valori europei di 7.6 e 13.0: una situazione quindi tutt’altro che brillante.
Tuttavia, la presenza delle donne nella scienza non può dirsi statica, e i cambiamenti avvengono anche se in maniera lenta ma costante. È aumentata, infatti, la partecipazione all’istruzione terziaria, è aumentato l’output di laureate sia in assoluto che nelle discipline scientifiche, è aumentata l’occupazione scientifica delle donne. Oggi in Italia siamo al 35,5%, sopra la media europea che si ferma al 33%.
Nei livelli di ingresso all’occupazione scientifica il congiunto effetto dell’aumento delle laureate e della accresciuta sensibilità alle questioni di genere ha fatto sì che le quote di uomini e donne in molte occasioni raggiungano anche la parità. Permane, però, una maggioranza femminile negli studi universitari di tipo umanistico o in alcuni settori scientifici, tipicamente quelli di ambito biologico, a fronte di una sostanziale assenza o di un forte squilibrio in altri quali per esempio la fisica, generando il fenomeno conosciuto in letteratura come ‘segregazione orizzontale’. Ma la forbice della divaricazione di carriera si apre piuttosto velocemente: se, infatti, all’ingresso le quote sono abbastanza simili, non appena si sale di grado, la prevalenza della componente maschile su quella femminile si fa subito viva e il divario si fa sempre più ampio via via che si sale di livello fino a raggiungere il massimo per i livelli di carriera più alti.