Nel panorama culturale del XX secolo l’Esistenzialismo, ispirato al pensiero di Kierkegaard e in parte di Pascal e Nietzsche, è stato una delle scuole filosofiche di maggior fama e fortuna, in grado di ridefinire in maniera autonoma e personale l’esistenza umana e il suo senso, in un’epoca in cui tutto sembrava entrare in una crisi irreversibile di certezze e valori:siamo negli anni tra le due guerre mondiali.
Ma l’Esistenzialismo fu anche un’ esplosione di creatività letteraria che espresse uno sguardo nuovo sul mondo, una nuova problematica e una nuova etica. L’uomo, l’individuo si trovava, per la prima volta nella storia, poggiato su sabbie mobili dove non esisteva più nessun tipo di certezza:distrutti tutti gli “Universali”, l’umanità viveva sotto un cielo vuoto di Dei, con una scienza che metteva in discussione sia le vecchie certezze della fisica del mondo sia quella della percezione veritiera dei sensi in relazione allo stesso.
Circondato dal nihilismo l’uomo ritorna a farsi domande sopra la natura, il suo destino, il senso della sua esistenza inesorabilmente e solo umana. Per questo Sartre dirà che “l’Esistenzialismo è un umanesimo”, ossia una filosofia della vita dove tutta la responsabilità etica appoggia sulle spalle degli uomini e quest’etica di conseguenza bisogna ridefinirla, cercando radici e azioni che la rendano attiva sul piano sociale, culturale e politico ossia nella totalità della vita umana.
In Italia si affermerà più un “esistenzialismo” dell’impegno che della negazione e la critica verso il nichilismo della negazione diventerà spietata. La borghesia simbolo di quel nichilismo, di quell’ignavia del vivere sarà l’oggetto di un’ analisi costante portata avanti sul piano filosofico, politico, letterario.
Un romanzo su tutti diventerà la voce più forte di questa nuova dimensione culturale e etica: “Gli indifferenti” di Alberto Moravia, pubblicato nel 1929 a spese dell’autore dall’Editore Alpes, prima che Sartre e Camus pubblicassero i loro romanzi (La nausea e Lo straniero) incentrati soprattutto sul senso di estraniamento dell’uomo contemporaneo,.
Il romanzo fu scritto dall’autore durante la sua permanenza a Bressanone, dopo il ricovero all’Istituto Codivilla di Cortina, a causa della tubercolosi ossea di cui soffriva sin da bambino. Interamente ambientata in spazi chiusi, claustrofobici la vicenda narrata diventa potente metafora della condizione di oppressione e di prigionia senza scampo nella quale i personaggi agiscono, simbolo della vacuità e dell’inutilità della realtà e dell’incapacità dei protagonisti di appropriarsene e di modificarla.
Moravia denuncia, attraverso le pagine del suo romanzo d’esordio, l’incapacità di volere e di vivere autenticamente la realtà (l’indifferenza, appunto) propria della borghesia degli anni Trenta del Novecento, schiava dei valori del denaro e del sesso. Il libro ebbe un successo imprevisto rivelando come nella coscienza dei lettori italiani, specie giovani, si era giá creato quel clima culturale nel quale l’esistenzialismo avrebbe da lì a pochi anni affondato prepotentemente le sue radici.
Protagonista del romanzo non è come in Sartre e in Camus un solo individuo, ma un’intera classe sociale, una borghesia che vive in maniera indifferente, priva di spinte morali, congelata in una ignavia delle emozioni e delle azioni, in un disinteresse verso la vita che la rende immobile e conformista. Del resto se le certezze ottocentesche hanno lasciato il passo al pessimismo nichilista, come meravigliarsi se la borghesia in quell’epoca manifestava la stessa indifferenza e incapacità di ribellione nei confronti del fascismo? Essa diviene quindi la classe sociale che rappresenta la vita inautentica per eccellenza, stigmatizzata dall’esistenzialismo francese, tedesco e italiano: una vita banale, convenzionale e inutile.
Il romanzo si svolge in una città senza nome, una città qualunque di un paese industrializzato. La vicenda è incentrata su una famiglia, gli Ardengo, i quali sono sull’orlo della miseria e hanno già ipotecato la loro abitazione. Pur essendo vicini al tracollo finanziario, pensano poco ai problemi economici relativi alla loro situazione. Ogni membro della famiglia ha una sua storia sentimentale relazionata a quella di tutti gli altri e variamente frustrante.
Questa storia, in fondo, non ha quasi sviluppo né climax né soluzione dei conflitti in atto: è niente di più che una massa d’inerzia, un’energia congelata che implode in se stessa., un mondo nichilistico nel quale tutti sono schiavi dell’ipocrisia, unica garanzia di quella classe sociale che vive nella cattiva coscienza della sua condizione esistenziale. Questo nichilismo, velato dalla condizione di apparenza reiterata e apparentemente ovvia, diventa la parte costituente e di sfondo dell’intero romanzo. Nessuna condizione della felicità umana sembra, dunque, interessare i personaggi de Gli indifferenti proprio perché, in fondo, essi non sanno neppure in cosa consista la natura stessa della felicità.
Si tratta di un mondo chiuso, ignorante, privo di speranza, la cui unica realtà è quella di replicarsi indefinitamente per difendere i propri interessi materiali, quali che siano, a qualunque costo Nel mondo de Gli indifferenti non ci può essere spazio per niente che sia diverso dal mondo borghese stesso, con tutto ciò che comporta. Tutta la vicenda si gioca su fatti amorosi, quasi che l’amore fosse l’unica cosa su cui giri il mondo. Ma niente nell’amore può salvare questi personaggi, nel momento in cui sono tutti così chiusi in sé stessi, incapaci di aprirsi una via positiva nel mondo.
Siamo di fronte ad un grande libro, ad un capolavoro della narrativa del XX secolo, scritto da un giovane appena uscito da un sanatorio, senza contatti ancora col mondo culturale della sua epoca, ma in contatto profondo con lo smarrimento e il dolore che scorrevano nelle vene di tutti e con la geniale capacità di scrittura di raccontare l’orrore senza emozione, in un libro che anticipava il clima culturale e filosofico di un’intera epoca.