Gli hobbisti in Italia sono 7 milioni e 200 mila. Tantissimi. Tantissimi quelli che curano il loro giardino con erba, fiori e siepi, che seminano l’orto dietro casa per ottenerne qualche ortaggio, che coltivano un piccolo appezzamento, magari ereditato dal padre o dal nonno.
Gli hobbisti sono amatori che non vogliono rinunciare alla coltura fai da te. La vivono come un’occasione per rilassarsi, per godere dei frutti della propria terra e avere il tempo libero impegnato in qualcosa di costruttivo, appagante. Persone oneste, preziose, perché contribuiscono a tener vivo, pulito, produttivo e ordinato il territorio in cui si muovono. Eppure alcune strutture territoriali regionali li trattano come delinquenti, potenziali avvelenatori di falde acquifere senza coscienza né competenza.
Dall’entrata in vigore lo scorso novembre del PAN, il Piano D’azione Nazionale derivante da una direttiva europea, agli hobbisti residenti in talune Regioni è negato l’acquisto di quei pochi, essenziali prodotti necessari per difendere il prato o il filare di vite perché non ammessi alla formazione. In realtà, la legge (ilPAN) prevede una formazione obbligatoria per i “professionisti” ma la apre a tutti gli utilizzatori: per legge, per ottenere un patentino con cui acquistare i fitosanitari è sufficiente la maggiore età e la frequentazione di un corso specifico. Esattamente come avviene per conseguire una patente nautica, automobilistica, di caccia e pesca.
Il solfato di rame e lo zolfo, fino a pochi mesi fa in libera vendita perché ritenuti non inquinanti e addirittura idonei all’agricoltura biologica, sono divenuti invendibili. E vorrebbero alcuni hobbisti frequentare quel corso di formazione per conseguire il patentino e mettersi in regola, ma quegli organi territoriali, ridicoli per quanto rigidi e negazionisti, rifiutano loro l’opportunità formativa per una mera e arbitraria classificazione che nega la formazione all’operatore non professionista andando oltre i vincoli di legge e dimenticando l’obiettivo stesso della legge: formare per creare coscienza e competenza. Un nome fra questi, l’Avepa, ente strumentale istituito dalla Regione Veneto per rispondere alle esigenze locali in ambito di agricoltura e sviluppo rurale.
Tutto questo perchè il PAN demanda la formazione alle singole Regioni che, a loro volta, la affidano a organizzazioni territoriali competenti (ad es. l’Ispettorato Agrario, La Forestale, le Ulss, l’Avepa).
Organizzazioni composte da tecnici talvolta incapaci di interpretare il senso delle cose, il senso di una legge che intende formare i professionisti, ma che non nega la conoscenza ad hobbisti e amatori che potrebbero volervi accedere, di diritto, per proprio interesse, per auto consumo, o per prospettive professionali future.
Compag, l’associazione nazionale che rappresenta i commercianti di prodotti per l’agricoltura, da mesi cerca di sensibilizzare il Governo sui gravi problemi di inadempienza e di errata interpretazione della legge operata dalle strutture territoriali di varie Regioni. Attraverso il suo presidente Fabio Manara, Compag richiama costantemente l’attenzione sui concreti rischi del comparto agricolo nazionale, sia amatoriale che professionale. Perché non solo molti hobbisti, ma anche centinaia di migliaia di professionisti rischiano la paralisi: sono solo 300 mila ad oggi i patentini attivi su un totale di 1 milione e mezzo di aziende agricole.
E quel milione e oltre sprovvisto di patentino non può neanche volendo accedere alla formazione e regolarizzarsi perché i corsi su vasta parte del territorio nazionale sono scarsi o inesistenti. Non sono stati e non vengono organizzati. Burocrazia, disinteresse, inghippi locali. Il tempo passa e l’agricoltura si inchioda. E professionisti, agricoli e hobbisti, sono fuori legge.