Mentre la COP29 in corso a Baku si accinge a concludere i suoi lavori, Greenpeace Italia e ReCommon rendono noto che il prossimo 18 febbraio la Cassazione si riunirà a Sezioni Unite per stabilire se anche in Italia, come già succede all’estero, sia possibile o meno intentare una causa climatica (nel nome della giustizia climatica) che accerti le responsabilità delle aziende inquinanti per gli eventi climatici estremi, come alluvioni e siccità, dovuti al riscaldamento globale, che stanno colpendo sempre più spesso e sempre più duramente anche il nostro Paese.
Giustizia climatica in Italia?
Nel maggio 2023 dodici cittadine e cittadini italiani, Greenpeace Italia e ReCommon avevano presentato una causa civile nei confronti di ENI, del Ministero dell’Economia e delle Finanze e di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (queste ultime due realtà in qualità di azionisti che esercitano un’influenza dominante sulla società) per i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui il colosso italiano del gas e del petrolio ha significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendone pienamente consapevole.
A quando la decisione?
ENI, CDP e MEF avevano infatti eccepito “il difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario adito”, di fatto contestando la possibilità di procedere con una causa climatica davanti a un tribunale italiano. Un motivo di improcedibilità contestato da Greenpeace Italia, ReCommon e le cittadine e cittadini aderenti a La Giusta Causa, che hanno dunque fatto ricorso per regolamento di giurisdizione alla Suprema Corte per chiedere di pronunciarsi in merito in via definitiva, come accadrà il prossimo 18 febbraio. Questa decisione avrà un impatto su ogni futura causa climatica intentata in Italia e, quindi, sulla tutela o meno in Italia dei diritti umani connessi al clima e già riconosciuti dalla Corte Europea dei Diritti Umani.
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