Sarà Giuseppe Montesano a introdurre la “quinta iornata” del capolavoro di Basile per il ciclo ‘La macchina degli incanti’. L’incontro, inserito nella rassegna di F2 Cultura, si terrà mercoledì 23 marzo 2016, alle 16, nell’Aula Magna Piovani del Dipartimento Studi Umanistici dell’Università Federico II, in via Porta di Massa, 1, a Napoli.
Giuseppe Montesano, romanziere di successo e sensibile traduttore e interprete dell’opera di Baudelaire, ha un rapporto profondo con l’autore del Cunto de li cunti.
Montesano parla del suo incontro con Basile:
Al primo anno di università, alla Federico II, via Mezzocannone, 16: un corso di Michele Rak sul Basile italiano… E poi si dice che l’università non serve! Non è mica sempre vero. Da lì partì la curiosità per questo scrittore che mi appariva decisamente bifronte, doppio, e quindi interessante. Qualche mese dopo mi procurai Lo Cunto de li cunti, su una bancarella, a un prezzo che non era da bancarella: era il 1978 o il 1979, l’edizione quella a cura di Petrini per Laterza.Ma non fu un rapporto facile, quello con Basile: allora ero entusiasta di Beckett…
Il napoletano di Basile è al tempo stesso profondamente popolare e intimamente colto: lei ha trovato in questo impasto di lingua e stile una suggestione per il suo proprio lavoro di scrittore?
Sicuramente sì. Ma l’effetto-Basile è stato estremamente tardivo, lentissimo a raggiungermi sul serio. Per almeno un decennio, ma anche di più, diciamo tra i 19 e i 35 anni la letteratura napoletana o da Napoli non mi ha interessato in alcun modo, se non per il teatro e il cinema: Eduardo, Viviani che allora si riscopriva, Totò, Peppino, i Giuffrè. Un altro motivo che mi teneva legato al napoletano era Gadda, che mi aveva mostrato che l’uso dei “dialetti” non doveva essere per forza provinciale. E poi c’era Basile. Assaggiato, mitizzato un po’, ripreso, abbandonato, ripreso ancora, e in un certo senso considerato da subito e poi sempre un’eccezione. Una sua frase era segnata su un taccuino che usavo a vent’anni, e da allora mi ha seguito sempre, come una sorta di amuleto fonico: Aiutate lengua mia, se no te taglio! Fantasticai per un periodo di tradurlo in italiano, un’idea che veniva e se ne andava e che mi spaventava: come si poteva fare una cosa del genere? Solo una sorta di incrocio gaddiano avrebbe reso giustizia a quella potenza che intravedevo nella lingua di Basile: ero convinto che una traduzione da Basile sarebbe dovuta essere una reinvenzione. Poi quel progetto folle cadde. Insomma non so bene come, o sarebbe troppo complesso spiegarlo: sì, Basile ha avuto molto a che fare, ma più come Nume tutelare che come suggestione diretta, con la mia decisione-ispirazione di usare il napoletano in un contesto letterario italiano con il quale volevo che ‘a lengua confliggesse contraddittoriamente.