Sono passati trent’anni dalla strage di Capaci nella quale morirono, per ordine della mafia, il giudice Giovanni Falcone, la moglie, anch’ella magistrato, Francesca Morvillo, gli agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Cosa nostra aveva deciso che il giudice doveva morire e pur di riuscire nel suo intento era disposta a tutto, anche a compiere una strage.
23 maggio 1992
Sono le 17.58 quando la Fiat Croma bianca, sulla quale viaggiano Giovanni Falcone e sua moglie Francesca Morvillo, viene investita da una valanga di asfalto e cemento sull’autostrada A29 all’altezza dello svincolo di Capaci. Il giudice era da poco sceso da un aereo dei servizi segreti all’aeroporto di Punta Raisi. Da lì, aveva proseguito il suo viaggio verso casa, in auto. Nulla di diverso rispetto al solito e questo i suoi nemici lo sapevano. Lo sapevano perché da diverso tempo tenevano d’occhio i suoi movimenti e alla fine sentenziarono che l’autostrada A29 era il posto ideale per fare l’attentato, ma in quale punto? La risposta arrivò dopo i sopralluoghi compiuti nei mesi di aprile e maggio da ben tre capi mandamento, Salvatore Biondino, Raffaele Ganci e Salvatore Cancemi: a pochi metri dallo svincolo di Capaci, vi era un cunicolo di drenaggio proprio sotto l’autostrada. Il luogo perfetto per sistemare 500 chili di tritolo.
I preparativi
Una volta trovato il posto per l’attentato i preparativi proseguirono speditamente. Ci furono svariate riunioni tra i capi mafia durante le quali arrivavano ogni volta nuove quantità di esplosivo e venivano messi a punto nuovi dettagli. Giovanni Brusca, insieme ad altri mafiosi, tra cui Pietro Rampulla, Santino Di Matteo, provarono diverse volte i congegni elettrici che avrebbero innescato l’esplosione. La sera dell’8 maggio, Gioacchino La Barbera, insieme a Brusca e ad altri capi mafia sistemò l’esplosivo nel posto individuato. Su un lato della carreggiata lasciarono un vecchio frigorifero con dei segni di vernice rossa che dovevano segnare il punto in cui, una volta arrivata l’auto, sarebbe dovuto scattare l’innesco. Su una collinetta adiacente fu trovato un punto dal quale era visibile il luogo dell’esplosione; furono addirittura tagliati i rami di un albero che toglieva visuale. Da allora la mafia fece più serrati i controlli sui movimenti di Falcone per capire in quale giorno poter fare l’attentato.
Giovanni Falcone e la mafia
Quel sabato 23 maggio, qualcuno avvisò la mafia che Falcone era in partenza da Roma per la Sicilia. La “macchina” mafiosa si mise in moto. Come in una staffetta, ogni “squadra” avvisò la successiva degli spostamenti di Falcone. La partenza delle auto blindate per l’aeroporto, l’arrivo del giudice a Punta Raisi, l’avvio del corteo per Palermo. Uno di loro, Gioacchino La Barbera, si mise su una strada parallela all’autostrada per seguire le auto. Le auto si avvicinano allo svincolo di Capaci, sono quasi a quei segni di vernice rossa, il telecomando sta per essere azionato ma la mano Brusca tentenna, c’è qualcosa di strano, l’auto centrale, quella con a bordo il giudice, rallenta. Questione di un attimo, poi riprende la sua corsa e…