La trama
Giovanissimi è l’ultimo romanzo di Alessio Forgione proposto da Liza Lisa Ginzburg per il Premio Strega 2020. Giovanissimi,edito da Nneditore, racconta la storia di un ragazzino, Marocco, alla ricerca della sua strada, in una Soccavo violenta e stantia. Il protagonista è un adolescente che sta imboccando la strada verso l’età adulta e che si ritrova solo nel viaggio più importante della sua vita. Le figure di riferimento che avrebbero dovuto accompagnarlo le ha perse.
Tutto intorno c’è il vuoto se non un gruppetto di cari amici. Marocco non ama la scuola e ci va solo per spacciare. Il quartiere non offre nulla se non un campo di calcio. Qui le giovani promesse, tra cui Marocco, vengono indottrinate al riscatto sociale e personale. Un coach, all’apparenza severo, si prodiga per fungere da padre e da guida per i suoi ragazzi, ma il suo linguaggio è troppo distante da quello dei giovani, che lo seguono ma non lo capiscono. Poi arriva una speranza, un momento di luce, Serena. Marocco scopre l’amore e inizia a pensare che forse al mondo, nel suo mondo, non è tutto così nero come lo ha sempre visto. Il personaggio inizia il suo percorso, e nonostante il tragico epilogo, il giovanissimo cresce, acquisisce maggiori consapevolezze, si scopre, e cambia.
Giovanissimi il romanzo di Alessio Forgione: intervista all’autore
Abbiamo approfittato della disponibilità di Alessio per sviscerare con lui alcuni punti nodali del suo romanzo e per affrontare anche importanti tematiche sociali
Partiamo dal protagonista di Giovanissimi, Marocco, che vive tutte le sue esperienze con un perenne alone di tristezza nel cuore a causa dell’abbandono da parte della madre. Pensi che se lei non l’avesse abbandonato la storia di Marocco sarebbe stata diversa? Oppure pensi che è l’ambiente esterno che condiziona veramente le scelte delle persone e quindi anche di Marocco?
Allora, sì, credo che l’ambiente esterno determini le persone che siamo e che diventiamo, ma non del tutto. Parlare di Marocco per me è stato anche un modo per parlare del mio quartiere, Soccavo, che è una periferia a tutti gli effetti, senza un cinema né un teatro, e certamente il quartiere è celebre per diverse cose e non per la presenza di scrittori o artisti o per il fermento culturale, eppure sono diventato uno scrittore, e non mi sento né estraneo al mio quartiere né un essere speciale, ma un abitante qualsiasi. Ed è vero che quando parti da certi posti la strada è più lunga che partendo da altri, ma la strada esiste, comunque vada. E con questo non intendo dire che non ci siano responsabilità politiche – le periferie sono a tutti gli effetti il risultato di politiche di merda, elaborate e imposte da politici di merda – ma se m’impongono una cosa, così, per istinto, io faccio l’opposto, e credo che ognuno, nonostante tutto, sia quasi libero di essere l’individuo che è. Dipende soprattutto da quanto si è disposti a pagare il biglietto per il viaggio.
Riguardo Marocco. Sì, le delusioni sentimentali ci condizionano perché i sentimenti sono gli ambienti dove viviamo davvero la nostra vita. Una casa non è una casa, ma l’universo intero.
Serena è un faro nel grigiore quotidiano di Marocco. L’innamoramento è una fase importantissima nel periodo adolescenziale, perché è innanzitutto scoperta. Cosa scopre realmente Marocco quando vive la storia con Serena?
Serena gli insegna a leggere e a scrivere. Quando siamo bambini non sappiamo che un negozio è una ferramenta fino a che non impariamo a leggere. Possiamo intuirlo che il signore all’interno vende chiodi e bulloni, ma l’intuito spesso non copre tutta la nostra comprensione delle cose. Dopo che abbiamo imparato a leggere, invece, sappiamo davanti a cosa ci ritroviamo e Serena, quindi, per me, gli insegna proprio a leggere e scrivere, perché gli svela il mondo.
Il finale del tuo libro è tragico, ma non lo sveliamo. Ti chiedo solo perché hai deciso di chiuderlo così, senza dare speranza al tuo protagonista. Una scelta ragionata (hai voluto comunicare qualcosa al lettore) o istintiva?
Non credo al lieto fine né nella fine delle cose, tanto nella vita quanto nei romanzi. Per me, in un modo o nell’altro tutto continua e quella che ci sembra una fine, in realtà, è più una fermata dove il treno si riposa prima di ripartire. E il finale di Giovanissimi, certo, non rincuora, ma i romanzi non dovrebbero rincuorare, ma mostrarci pezzettini di vita. I preti sono stati creati per rincuorare le persone, non gli scrittori. Gli scultori modellano il marmo, gli scrittori modellano le crisi. La materia prima con cui si scrive, secondo me, sono le crisi, e quasi nessuna crisi è bella.
Però, detto questo, ritengo Giovanissimi anche un romanzo assolutamente edificante e con una grandissima dose di speranza reale, bella, piena e che non è quella di fidanzarsi con una ragazza e starci assieme per il resto della propria vita o di aver un rapporto con i propri genitori di quelli in cui ci si dice tutto e si è amici, quanto piuttosto di incontrare se stessi e capire chi siamo, cosa ci piace, cosa non ci piace e chi non siamo. Questa è la cosa che ritengo più preziosa tra tutte: capirsi. E Marocco si capisce. Comincia il romanzo con un atteggiamento, scagliandosi contro le cose e finisce con un altro, più contemplativo, perché ha scoperto se stesso e ha capito chi è e cosa gli piacerebbe ottenere