Davide D’Urso, classe 1974, è un giovane libraio della catena librerie.coop, sita all’interno del centro commerciale di Quarto in provincia di Napoli. Ma Davide non è uno di quei librai la cui unica competenza è quella di indicare al cliente ove è posizionato il libro che sta cercando (dopo aver consultato la banca dati sul pc). Davide è uno di quei librai che legge e che di conseguenza i libri li conosce, li ama, li consiglia, e in ultima istanza li vende. Andare in libreria e parlare con Davide è una di quelle esperienze che difficilmente si dimenticano. Davide ha letto praticamente tutto. Se si ha il piacere di parlare con lui lo si sentirà citare Leopardi, Carlo Emilio Gadda e Moravia, accanto a i grandi della letteratura americana come Paul Auster, Philip Roth, Don DeLillo, Thomas Pynchon, o ai meno conosciuti (al grande pubblico) scrittori napoletani contemporanei come Raffaele La Capria, che è un po’ il suo mentore. Ed è inutile che cerchiate di metterlo in difficoltà nominandogli un autore sconosciuto. Tanto lo conoscerà di sicuro!
Davide D’Urso – come si può leggere nella quarta di copertina dei suoi libri – «ha pubblicato due raccolte di racconti: Il paese che voleva cambiare (Manni, 2007), e Incontri di notevoli di un librai militante (Valtrend, 2012). Un altro suo scritto, Fuocoefiamme, è stato inserito nell’antologia Fuoco sulla città (ad est dell’equatore, 2013). Tra le macerie è il suo primo romanzo». Ed è proprio del suo primo romanzo che si parlerà.
Tra le macerie racconta di Marco Moraldo, un giovane che stenta a sbarcare il lunario nonostante la sua laurea in Giurisprudenza. Aspirante scrittore che convive con la sua fidanzata, Valeria, che figlia di un medico appartiene all’alta società napoletana e che Marco, nonostante il loro amore reciproco, sospetta che prima o poi si lasceranno per problemi di differente “appartenenza sociale”. Nell’attesa di pubblicare il suo scritto Marco un lavoro di ripiego lo trova: in un call center a “tre euro l’ora”. Da qui la descrizione dell’ambiente infernale dei call center in cui Marco cerca di sopravvivere in quanto unica entrata di cui dispone. Il protagonista si muove all’interno della sua città, Napoli, che diventa molto più di una cornice paesaggistico/ambientale e che risulta interagire con lui in maniera attiva. Così come tutti i personaggi che fanno da contorno e che Marco incontra durante il suo “cammino”.
Tra le macerie è un romanzo generazionale, nel senso che potrebbe benissimo ergersi ad emblema di una generazione, così come è stato – con le dovute proporzioni – ll giovane Holden per i ragazzi degli anni ’50 e così come è stato Generazione X per i giovani degli anni ’90 (anche se tale primato è conteso con Trainspotting di Irvine Welsh). Un romanzo generazionale che però si pone in maniera “umile” nei confronti del lettore senza la pomposità e l’aura di “grandezza” cui di solito sono pregni i romanzi generazionali: non ha alcuna grande verità universale da urlare, ma bensì parla del quotidiano. E appunto, umilmente, parla della vita di noi numerosissimi trentenni impelagati in una realtà che ci sta soffocando, che non riusciamo più a decodificare, e tanti bei discorsi che sono già stati fatti da sociologi di ogni risma.
Marco è, fra le tante cose, un Beautiful Loser di Coheniana memoria, emblema di tutti noi, laureati senza uno straccio di lavoro e costretti ad accontentarsi dei lavoretti che ci vengono propinati dagli strozzini di turno. Il call center dove “esisti solo se vendi” e dove Marco trova lavoro potrebbe, che potrebbe anche essere un ristorante, o altro è – ancora – l’emblema del lavoro di oggi, quell’Overlook Hotel da cui tutti cercano di scappare altrimenti si impazzisce. Mentre prima la lotta per la sopravvivenza si concentrava sulla lotta per un tozzo di pane, oggi la sopravvivenza si è spostata su binari di tipo esistenziale.
Marco non ha un logos, non ha una direzione, e la sua storia d’amore con Valeria serve a farci vedere quanto il suo animo possa ancora essere puro, e non “sporcato” dalla realtà. È un post-adolescente scaraventato senza paracadute (quello che doveva essere la laurea e la promessa di un lavoro rispettabile) nel mondo degli adulti (nel Villaggio degli uomini direbbe Kipling) che ha paura di vivere da fallito in un mondo di squali e si ritrova a soccombere tra le mille chiamate assordanti (che però non riescono ad assordare l’anima) del call center.
Davide riesce molto bene a trasmettere quel senso di spaesamento delle anime fragili (che Marco incarna), quel sapore mancato di rimorso e rimpianto, di azioni sbagliate, e l’immenso vuoto che separa le anime degli esseri umani anche quando sono vicine. Forse un po’ di presunzione avrebbe giovato!
Speriamo che Davide abbia in cantiere un altro romanzo.
Per chiudere l’articolo rimando alla bellissima citazione di apertura del libro tratta da La vita agra di Luciano Bianciardi:
Mi raccomandò di tenermi fedele al testo, di consultare spesso il dizionario, di badare ai frequenti tranelli linguistici, […] di scrivere qual senza apostrofo, tranne che nei libri gialli, nei quali si può anche mettere l’apostrofo, perché tanto il lettore bada solo alla trama.
Ogni riferimento a fatti e persone NON è casuale.