Di tanto in tanto ci si chiede cosa potrebbe ancora accadere in questo ultimo scorcio di 2020 e mentre la lotta contro il virus continua ci troviamo a vivere giorni di maltempo e allerta meteo. Scene che conosciamo bene, intendiamoci, che vediamo ogni anno proprio di questi tempi e che ci impressionano ogni volta. Quest’anno, con un’emergenza sanitaria in corso, i danni provocati da esondazioni e forti piogge rende, nei territori interessati, tutto più difficile.
Giorni (ormai settimane) di maltempo e allerta meteo
Era stata la Calabria, con il nubifragio nel crotonese di due settimane fa, a inaugurare una nuova triste stagione di maltempo. Un’ingiustizia nell’ingiustizia dopo le difficoltà vissute dalla Regione in materia di Sanità. Poi è stata la volta della Sardegna, dove, nel nuorese, il maltempo ha fatto tre vittime. Una nuova ondata di esondazioni, pochi giorni fa invece, ha letteralmente travolto le regioni del Centro e del Nord d’Italia, tra Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Toscana. Nel bellunese e nel modenese i danni maggiori. L’allerta meteo, di livello arancione, è comunque estesa a tutto lo stivale.
Cambiamenti climatici
A rischio di diventare monotoni, una riflessione sui cambiamenti climatici la dobbiamo fare. Piove sempre più raramente ma intensamente. In poche ore cadono le stesse quantità di pioggia che in precedenza cadevano in mesi. I sistemi fognari nelle città, che sicuramente difettano in fatto di manutenzione, non hanno materialmente il tempo per accogliere queste enormi quantità d’acqua con il risultato di gravi allagamenti, così com’è successo, per esempio, nel mese di settembre. Siamo alle porte dell’inverno ma insistono ancora venti caldi che fanno alzare le temperature: fattore che determina il carattere temporalesco delle precipitazioni. Gli incendi che si verificano nelle stagioni calde, poi, impoveriscono il terreno di vegetazione (e quindi radici) che rendono il terreno più cedevole.
E focus sbagliati
E qui veniamo a un punto cruciale perché fuori dalle nostre città, l’impoverimento del territorio è frutto di una visione completamente distorta di quelle che sono la montagna e la campagna. Due ecosistemi, perfetti nel loro equilibrio, fino a quando non li si è considerati al pari di miniere da sfruttare. I prodotti dell’agricoltura da portare sulle nostre tavole, il legno per costruire oggetti, nuovi spazi liberi nei quali edificare sono stati le priorità degli ultimi decenni portate avanti senza un serio studio del territorio. Molti centri dell’entroterra hanno visto costanti flussi migratori verso le coste, verso agglomerati più grandi perdendo così l’occasione di dotarsi di servizi e infrastrutture. L’unica via di scampo per alcuni di essi è stato il turismo. E anche qui si è puntato sullo sfruttamento di una risorsa più che sulla sua vera valorizzazione. Oggi, con una pandemia in corso, ci ritroviamo, a pochi giorni dalle festività natalizie, con le località turistiche deserte e le strutture ricettive vuote, mentre se si fosse pensato a migliorare le infrastrutture e i servizi basilari in ogni angolo del nostro Paese, forse nessun bambino rimarrebbe escluso dalla didattica a distanza.