“Le piume degli angeli scemi”, che titolo! Ispirato ad una performance del clown-attore Leo Bassi, esprime bellezza e ironica poesia come i poemetti che raccoglie e che viene da sé iniziare a leggere col sorriso sulle labbra.
L’autore è Gianni Valentino, giornalista e critico musicale per Repubblica, scrittore e poeta appassionato di cinema, pittura e fotografia, un cultore dell’arte totale che riversa nella composizione delle sue pagine dove i versi sono accompagnati da una preziosa colonna sonora indicata dall’autore stesso e reinterpretati dai disegni di Tonia Peluso. Poi c’è un quadernino che il poeta porta con sé per inchiostrarlo con le sue emozioni e il suo vissuto, alcune pagine manoscritte sono finite nel libro, una traccia in più per comprendere i poemetti.
La raccolta è un’opera autobiografica impudica e ingenua, intima e metropolitana, nonché la via di fuga del giornalista verso la libertà e l’autonomia di pensiero dell’autore che ha bisogno di non essere “tradito”.
Le parole scorrono semplici o sorprendenti, vere, allegre, fatte di carne, baci, verdura, amplessi e malinconia e vanno a costruire immagini vivide che ci catturano. E da spettatori ci ritroviamo anche noi a Lisbona o nel traffico cittadino, difronte al mare in una notte insonne o davanti al foglio bianco, nel suo studio o nella sua camera…e da qui, ehm, affrettiamoci ad uscire per salutare un autore che, con gli artisti della sua generazione torna a raccontasi-ci, a dar voce ad una città che ha di nuovo i suoi cantori.
“Chi ha detto che non avremmo parlato più? Chi dice che è stato detto abbastanza? Ecco Napoli, ecco i suoi artisti, ecco i suoi poeti.”… dalla perfetta presentazione di Francesco Di Bella al libro di G. Valentino.
I suoi poemetti raccontano emozioni e vissuto quotidiani di un giovane uomo o di un angelo. Piume di angeli ”scemi”. chi sono? Scemi perché sinceri e disarmati?
“Scemi – non stupidi – perché autentici. Innocenti. Spietati e innocenti. Innocenti e a volte libertini.
Le scemenze sono essenziali, vivendo. Altrimenti la mia vita sarebbe museale. Non di carne. Io assecondo costantemente questa dimensione angelica, perché mi fa sentire il fuoco delle persone che ho intorno, il fuoco delle azioni che compio, degli sguardi che faccio, dei sorrisi che offro. Questi poemetti – la prima mia raccolta; chissà se farò il bis, il tris. Intanto scrivo sempre assai sul mio quaderno: in questo periodo lo sto facendo su un quaderno comprato a Istanbul con la copertina di velluto giallo – raccontano me oggi. Ho 40 anni. Ho vissuto tanto, extra giornali. Quasi sempre la gente mi riconosce quale giornalista, inviato, cronista, critico. Questa è appena una minuscola porzione della mia biografia. C’è tanto retroscena. E “Le piume degli angeli scemi” sono i miei retroscena. Ispirati da una performance di Leo Bassi, clown-attore-mimo di origini misti, tra l’Italia, New York, il Belgio, la Spagna. Il titolo dell’opera lo decisi più o meno quindici anni fa dopo aver visto una performance di Bassi sul terrazzo di Castel Sant’Elmo. Era estate e quella sua azione scenica mi fulminò. Illuminandomi. All’istante, scelsi di intitolare così la mia eventuale raccolta di poemi. Era sensato già allora. Via via ho capito tutti i perché.
Era sacrosanto che raccogliessi questi componimenti perché questo sono io ora. Ho setacciato decine di quaderni, per scegliere i 28 poemetti. E i fatti sensuali, i fatti sessuali, le scoperte di viaggio, le solitudini, le lacrime, la devozione femminile, era indispensabile portarle nel mondo proprio in questo frangente.”
La sua è una scrittura di forte impatto visivo e accompagnata da una tracklist doc, una colonna sonora emozionale. cinema, musica e quant’altro sono nutrimento del suo lavoro?
“Non potrei scrivere senza immagini. Immagini e ritmo sono le assolute priorità. Definendo semicolti questi poemetti significa abbandonarsi al sangue, non alle regole retoriche, metriche, accademiche. Ci provò all’università un mio caro docente, insegnava Sociologia della Letteratura. Il prof Giovanni La Guardia, all’Orientale. Studiammo Friedrich Hölderlin, per esempio. Alla fine però non mi sono nemmeno laureato: ho iniziato a fare il giornalista, non volevo studiare più.
La Guardia – nei seminari sulle nostre scritture personali – e alcuni amici di corso, mi invitavano a imparare più tecniche di composizione di un poema. E di altri scritti. Mi sono sempre rifiutato. Sentivo profondamente che mi avrebbe limitato, sviato, ridimensionato. So da me che ricerco la prosodia, che amo le allitterazioni, i rimbalzi di senso tra un verso e il successivo o il precedente. So cosa inseguo, scrivendo. Inseguo immagini, come chiede lei nella domanda. E più che i poeti – Whitman, Majakovskij, Pessoa, che mi sono dentro tanto – o gli scrittori [vedi Ernesto Sabato “Sopra eroi e tombe”, adesso] io appartengo al cinema e alla pittura. A Schiele, Twombly, Bacon, Van Gogh, Basquiat, Klimt; a McCurry e Schoeller e Basilico e Jodice, cito esempi, per le foto. Al cinema di Cassavetes, Lubitsch, Rosi. Immagini di senso, immagini emotive. E il cinema per me vive nel canto. Le musiche lo amplificano. Lo esasperano. E io spettatore ne resto conquistato. Sedotto. Perciò le musiche a piè di pagina, nate nella verace complicità con l’editore Iemme.
Vivo di musica e concerti e dischi attimo per attimo.
Era legittimo ci fosse così tanta musica nel libro.
L’antologia jukebox citata a fine poemetti equivale al riverbero di quel che ho scritto nei versi [Live Room di Tim Hecker, va’]; o addirittura a una sorta di genesi delle sillabe [So In Love di Matias Aguayo]. Ciascun lettore deciderà se leggere il libro lasciandosi assuefare a quelle canzoni oppure cercarle in futuro. O rinunciarvi per rintracciarle chissà quando. O ignorarle. È una libertà che il libro propone.”
I poemetti sono intervallati da disegni appena accennati, quasi dei graffiti e da pagine di suoi appunti manoscritti non che’ da giochi e scomposizioni di parole. Tutto molto personale e divertente.
“Questi poemetti sono spudoratamente autobiografici. Pure i disegni dovevano esserlo. Tonia Peluso – l’autrice delle illustrazioni – ha intuito con il suo genio quel che era nascosto negli spazi tra le sillabe scritte. Ha interpretato le mie emozioni, i miei misteri, le mie pulsioni, con estrema delicatezza, grazia e passione. È stata la mia compagna per sette anni, abbiamo viaggiato ovunque [Marocco, Lisbona, Stromboli, Istanbul, Palermo, nelle cascate thailandesi, nelle vie di Venezia], abbiamo riso in modo indicibile e pianto con disperazione. Da quasi due mesi ci siamo separati, e sto vivendo uno sfiancante martirio amoroso. Non so prevedere se riprenderemo a baciarci e abbracciarci o ci perderemo ovunque. Il destino governa le nostre esistenze. E così i suoi disegni, graffi come lei suggerisce, sostengono pure i fogli originali salvati dai miei quaderni. Così il lettore probabilmente riesce a comprendere subito quale processo imprevedibile sta alla fonte della composizione. Incluse eventuali cancellature.
Mi lasci dire un grazie speciale pure a Francesco Di Bella, autore della introduzione della raccolta, che considero davvero il mio angelo custode per questa irripetibile esperienza di scrittura.”
Di bella, nell’introduzione al suo libro, afferma che la città è tornata a parlare attraverso i suoi artisti, i suoi poeti. Lei ne è una voce, come e se si sente parte di questa generazione di intellettuali? Cosa pensa vi accomuni oltre lo sguardo a 360° sull’arte tutta?
“Le dico la verità. Non sento di appartenere ad una generazione di intellettuali. Forse perché non mi sento un intellettuale, non so nemmeno cosa voglia dire far parte di una generazione. Non userei intellettuale come sostantivo, bensì come aggettivo. Ogni giorno adopero il mio intelletto pure per fare il cronista. E il pensiero, per me, è opera attiva nella vita della città e dei lettori. Siano essi del quotidiano o dei settimanali.
Allora sì, sento intensamente una mia responsabilità in quello che scrivo e dico. E troppo spesso questa responsabilità, che va a braccetto con la mia dedizione quando intervisto, quando faccio reportage, commenti, viene disattesa e disillusa nelle fasi di editing in redazione. Ciò mi provoca una frustrazione smisurata in quanto il mio è sempre un atto creativo. E mi dà pena sacrificare verbi e immagini. Il mio ossigeno sono proprio i poemetti. Così sono obbligato a far convivere in me due emisferi avversari. E le assicuro che porta a vivere un pericoloso squilibrio spirituale.
Quanto all’ultima parte della sua domanda, a proposito della componente artistica, io credo veramente nel concetto di arte totale. Musica dentro la poesia che entra nella pittura che conduce al cinema e salta nella danza, riportando ogni sensazione alla natura. La natura quale forma creativa da proteggere e a cui prostrarsi.”
Molto presenti e molte paiono essere le donne nei suoi versi, le canta, le ama, le scruta con sguardo maschile. compagne di amplessi e non altro perché è di questo che si parla?
“Si parla di amplessi, improvvisi, imprevisti, ripetuti, noiosi, eccitanti, indimenticabili, provvisori. Perduti. C’è la pelle perché prima di ogni cosa io sono un corpo che agisce, che si muove, che attraversa la città e le vite di chi conosco. E su questa pelle restano cicatrici. Volevo esporle, perché non sono un reato. Sono la mia verità, la mia storia. E sono consapevole che senza femmine io non avrei avuto questa storia di uomo. Senza i baci trovati, senza le lacrime spese, senza le lettere inviate, i tulipani, i girasoli, le rose donate, non sarei la persona che sono. Non avrei lo stile di vita che tengo e a cui tengo.”
Parole e aggettivi semplici, quotidiani talvolta inconsueti danno corpo alle azioni, formano la scena e ci proiettano in una stanza luminosa dove sembra piacevole fermarsi. E’ così’ anche per l’autore?
“Le parole – per me – devono mantenere un valore di scemenza, come dicevo all’inizio. Le più pure, mi aspettano. Così come aspettano ogni autore. Non posso fingere. Pure se qualcuno, leggendo, potrà dire che ne esistono di migliori, di più “poetiche”, simboliche.
Io parlo quasi come scrivo e scrivo quasi come parlo ogni dì. La scena – se vogliamo – appare così fantasiosa perché è fantasiosa evidentemente la vita che faccio. Irrazionale, con orari irregolari, assorbendo fenomeni e storie, occhi e bocche. Il mestiere di giornalista mi ha fatto fare, e mi fa fare, il trapezista. Mi ha educato al rispetto delle persone che si rivelano alla mia curiosità – e io le rispetto e tento di onorarle in qualsiasi momento, senza approfittarmi mai di loro – e mi ha fatto capire cosa conservo nel mio pozzo. Capita, in una medesima giornata, di conversare con un direttore di museo, un killer, un conducente di autobus, una signora stuprata, un bambino scivolato dalla bicicletta. Queste eredità le devi tenere sempre appresso. E generano un vorticoso cortocircuito. In questo caso, dopo l’uscita del libro, tutto questo mi ha definitivamente spaesato/annichilito/indebolito, polverizzando persino la mia vita privata. Quando riesco a rifiatare, rallentare, stando in sospensione, trovo la mia luce in uno spazio che è soltanto mio. E scrivo poemetti.”
Gianni Valentino è nato a Napoli il 30 agosto 1975. E’ giornalista per Repubblica, il Venerdì e le altre testate del gruppo Espresso, per contenuti relativi a cultura/costume/spettacoli. Scrive anche per il settimanale “Pagina99”: cultura / storie di sport (pugilato – calcio) .. etc. Vive a Napoli. Eventuali mete altrove desiderate: Lisbona, Istanbul, dovendo scegliere. Prox meta, Vienna. E l’Africa nera . L’autore sta preparando un reading in quartetto che si terrà sabato 14 maggio alla Crypta Neapolitana di Mergellina nell’ambito dell’iniziativa “Wine & the City”. Con lui Angelo Petrella, Gianni Solla, Ferdinando Tricarico, alla sonorizzazione Stefano Leone. Probabilmente, poi, un altro nella Basilica di San Severo a Capodimonte, ad aprile, da confermare. Ancora con Stefano Leone ai suoni.