Entro fine anno, il governo dovrà varare una nuova riforma delle pensioni. Scade, infatti, il triennio di sperimentazione del sistema Quota 100 e, se non si avranno nuove regole, si tornerà alla legge Fornero del 2012. La domanda è: nel pensare a una nuova riforma del sistema pensionistico in Italia, si provvederà ad azzerare il gender gap?
Il gender gap delle pensioni in Italia
Il XX Rapporto Annuale dell’Inps non lascia dubbi: in Italia il reddito pensionistico delle donne è inferiore a quello degli uomini. Dal 2001 al 2020, la differenza tra uomini e donne nella corresponsione della pensione è andata sempre aumentando: si è registrata una significativa accelerazione a partire dal 2012 per i trattamenti di anzianità e dal 2017 per quelli di vecchiaia. Il risultato è che oggi riscontriamo una disparità di trattamento tra uomini e donne quantificato in un range che va dai 400 ai 550 euro per le pensioni di anzianità. Per le pensioni di vecchiaia fino al 2017 la differenza tra uomini e donne si aggirava tra i 200 e i 250 euro, dal 2018 a oggi il divario è arrivato a 400 euro.
Stipendi più bassi = pensioni più basse
Pensioni e previdenza sono solo gli approdi finali della disparità di genere nel mondo del lavoro italiano. E’ questione ormai nota che le donne hanno molta difficoltà a raggiungere ruoli apicali nelle aziende. Quando li raggiungono, poi, devono “accontentarsi” di una retribuzione più bassa rispetto ai loro omologhi uomini. Questo inevitabilmente si riflette sul trattamento pensionistico. Che sia di tipo contributivo, retributivo o misto, il sistema previdenziale porta inevitabilmente a trattamenti economici più bassi per le donne rispetto agli uomini. Senza considerare che molte donne si trovano ancora, negli anni Duemila, a dover scegliere tra lavoro e famiglia o, per conciliare entrambe le esigenze, a lavorare part time.
Vecchi refrain
Sulle donne, infatti, grava il peso della cura familiare, della casa e degli anziani molto spesso senza alcuna forma di aiuto né dall’esterno, a causa della mancanza di adeguati servizi, né dall’interno per una questione culturale. Un peso che si è ulteriormente aggravato in questo anno e mezzo di pandemia. Queste, a dire il vero, sono cose che già sappiamo, tanto che parlarne sembra quasi scontato o, peggio ancora, una lamentela. Intanto i dati degli ultimi vent’anni parlano chiaro.