«Non esiste l’omosessuale» dice Joseph Nicolosi durante un’intervista alla BBC «questa è una delle prime cose che insegniamo ai clienti che vengono da noi. Tu non sei un omosessuale. Sei un eterosessuale con problemi di omosessualità».
Su questo si costruisce la terapia ad hoc dello psicologo americano Joseph Nicolosi, direttore esecutivo di NARTH (National Association for research and therapy of homosexuality) che poi sposa a braccetto la visione religiosa di quella che viene definita “malattia”. Ed infatti chi intraprende la terapia di conversione all’eterosessualità si trova inevitabilmente o prima, o poi ad invocare l’aiuto del Signore.
Sono più di trent’anni che la terapia viene effettuata alla Thomas Aquinas Psycological Clinic, in California, lì si fa un lavoro di introspezione e di ricostruzione di traumi infantili e relazioni genitoriali che avrebbero portato il paziente alla situazione confusionaria attuale. Risultato? Abnegazione di se stessi e autoconvincimento che ci sia qualcosa di “malato” se si è attratti da una persona dello stesso sesso.
Le comunità LTGB criticano questo modus operandi e in più occasioni hanno denunciato i danni psicologici derivanti da tali terapie. Ma in molti casi sono le famiglie che trascinano i propri figli minorenni ad intraprendere questi percorsi spendendo fior di quattrini. Il resto lo spenderanno poi da aduli in analisi per riprendersi dalle conseguenze della “cura di conversione”.
Ma non è solo un caso a stelle e strisce, le cliniche esistono anche in Gran Bretagna, Cina, Russia e Italia. Non ci troviamo in una realtà terzomondista, troppo spesso facile da criticare dal nostro podio occidentale perchè diversa e lontana, ma giochiamo in casa, credendo che dall’omosessualità si possa guarire attraverso terapie e croci, pubblicizzando tale idea con slogan omofobi, come è accaduto sui bus londinesi, che recitano: Some people are gay. Get over it!
Ma i sondaggi post terapia ci dicono che non è possibile cambiare l’orientamento sessuale di un essere umano. Il 90% di coloro che hanno partecipato al sondaggio condotto da Jallen Rix, uno dei fondatori di Beyond Ex-gay, gruppo di supporto post trattamento, dice che la terapia ha causato danni che nell’80% dei casi durano ancora oggi.
E per danni intendiamo depressione, comportamenti suicidari e disturbi borderline, nel complesso una vulnerabilità psicologica che non è facile superare. Tra i racconti degli ex pazienti non manca poi quello delle punizioni corporali, quali l’elettro shock con la pretesa di estirpare l’omosessualità dal corpo come racconta Xiao Zhen o uno strazio doloroso che vede l’associazione tra immagini “proibite” e l’obbligazione a tenere del ghiaccio tra le mani o il ricevere scariche elettriche attraverso degli aghi conficcati nelle mano, come invece racconta Sam, come se il dolore fisico potesse essere un metro di giudizio; scene che richiamano l’Alex kubrickiano sottoposto a cure sperimentali, che di benefico hanno ben poco se non dolori e traumi che rimangono a vita «Ancora oggi – dice Sam – quando stringo la mano ad un uomo, sento una certa sofferenza».