Osservare il fondo ultravioletto dell’Universo per giustificare la “latitanza” di galassie di piccola taglia. Questo l’obiettivo della ricerca – condotta da un team internazionale di astronomi dell’Università di Durham e pubblicata oggi su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society – che mette in relazione la straordinaria presenza di radiazione ultravioletta nel cosmo con la scarsità di galassie più piccole della Via Lattea.
Gli esperti hanno messo a punto un modello utile a comprendere le dinamiche in atto nell’Universo relative alla formazione di galassie di piccole dimensioni e non solo, elaborato sulla base dei dati raccolti dallo strumento MUSEinstallato sul Very Large Telescope dell’ESO. Per farlo, gli scienziati, finanziati dal Science and Technology Facilities Council, hanno puntato gli “occhi” dello spettrografo in direzione del gruppo UGC 7321, galassia in miniatura lontana 30 milioni di anni luce dalla Terra.
La radiazione UV – un tipo di luce presente in tutto l’Universo ed emessa anche dal Sole – è di per sé invisibile. Tuttavia si presenta come fascio di colore rosso quando interagisce con il gas presente, lo stesso utilizzato per accendere nuovi astri. Un processo di eccitazione del gas con conseguente emissione di radiazione, simile a quello per cui il gas presente nelle lampade fluorescenti se eccitato si trasforma in luce visibile.
Le simulazioni ottenute dagli autori dello studio, mostrano che la formazione di raggi UV – imputabile per lo più a buchi neri estelle massicce – sottrarrebbe nutrimento alle stelle in fieri: gli astri debuttanti schierati in contesti ridotti (ovvero le piccole galassie), privati di fatto del gas vitale al sostentamento, sarebbero incapaci di emergere dal buio cosmico. Il risultato che ne consegue è una scarsità nel numero di galassie mignon dell’Universo.
Le cose andrebbero diversamente per i gruppi stellari più grandi – come la Via Lattea – dove dense nubi di gas avvolgono gli astri nascenti, fornendo nutrimento sufficiente per alimentare entrambi i processi. Il modello, oltre a giustificare il numero esiguo di galassie piccole, sarà utile a misurare l’evoluzione nel tempo cosmico del fondo ultravioletto, individuando dove e quando il suo effetto abbia colpito e stroncato la genesi di gruppi stellari di dimensioni più contenute.