“Tutto cambia” è il credo di Gabriella Gorini , raffinata e schiva artista, che ha affidato alla sua pittura l’espressione di sé, e poco si svela altrimenti. A questo fine concorrono il suo look dai toni sobri e scuri, le sue maniere cortesi, la giusta distanza che interpone tra se e il resto del mondo. Nelle sue opere l’uso prezioso di simboli arcaici ed universali e la stratificazione dei colori, atta a celare l’originaria trama dei suoi dipinti, confermano il bisogno di celare, proteggere per non banalizzare e lasciare, infine, uno spazio al mistero pur riconoscendo la necessità, in arte, dello sguardo altrui. Cosa di più tremendamente affascinante?
Il suo terreno d’azione è un piccolo studio, uno spazio esiguo che pone confini concreti al bisogno intimo di cimentarsi con grandi opere, ma ogni limite può trasformarsi in un punto di forza e pian piano è nata l’idea di dipingere piccole tele, dei moduli che assemblati danno vita ad un unico dipinto di grandi dimensioni, un insieme di pluralità in cui ciascuna mantiene la propria identità.
L’innegabile abilità tecnica dell’artista è messa al servizio di una sensibile ricerca introspettiva e di un’attenzione alla condizione femminile e agli equilibri apparenti degli esseri viventi e dei loro legami. Evidente è la fascinazione per il mondo orientale e per i miti posti alle radici dell’uomo.
“Todo cambia”, cantata dal vivo da Mercedes Sosa, è la colonna sonora della sua vita, una sorta di cura da seguire e suggerire, con posologia giornaliera, per favorire la metamorfosi inevitabile di tutte le umane cose.Il processo alchemico di trasformazione è terreno di ricerca artistica e di fascinazione personale, ed una sorta di mantra da ripetere per non dimenticare che questa è la vita, un fluire di esperienze da cui attingere e da cui lasciarsi condurre alla ricerca di nuovi, pur se temporanei, approdi… Todo cambia…
Abbiamo incontrato Gabriella Gorini alla vigilia di una sua personale al PAN, prevista per luglio, un incontro oltremodo interessante e che è andato ben oltre le legittime curiosità per il suo lavoro d’artista.
Il concetto di trasformazione alla base del suo lavoro è anche strumento d’indagine e idea guida della sua vita, ma da cosa parte per i suoi dipinti?
“Io preferisco partire da una cosa piccola, i grandi temi sono sempre e comunque implicitamente presenti nell’animo di ciascuno di noi, e ci sono delle cose, in particolare, che mi affascinano da lungo tempo come la trasformazione, appunto, il processo alchemico che attraverso i vari stadi trasforma il metallo vile in oro. Un concetto che mi piace associare alla ricerca del proprio sé prezioso.
La trasformazione di sé attraverso le prove è un percorso presente in tutte le favole, nel mito classico, nei riti di passaggio comuni a tutti i popoli del mondo e che ha a che fare con gli elementi, gli inferi, lo scuro, la morte. Mi piace indagarne i simboli o semplicemente amo disegnarli per le infinite possibilità che offrono, come il serpente che compare in ogni cultura e tempo, anche noi da bambine avevamo anellini o braccialetti a forma di serpente; la ciotola che indica accoglienza e maternità; l’uovo simbolo del tutto, tutta la vita contenuta in un guscio fragile, fragilità e potenza; la conchiglia emblema del femminile; la mezza luna, il vulcano che diventa quel conetto molto essenziale e che deriva dalla mia frequentazione con Stromboli. Elementi della natura e oggetti per raccontare l’alchimia del tutto cambia, l’appartenenza ad un luogo o ad una cultura o scelti, talvolta, per ragioni puramente estetiche.”
Le sue tele così preziose e curate fanno pensare ad un atto meditato, progettato. E’ così?
“Molto spesso, come è anche per altri, io parto da un idea e cerco di costruirmi un progetto che però, inevitabilmente, si trasforma. E devo dire che la cosa più interessante è proprio questa sorta di rapporto tra quello che io sono e quello che si forma. Una trasformazione reciproca in questo dialogo che ho scoperto essere l’aspetto che più mi interessa, al di là del risultato. Nell’atto del dipingere, come del fare un prodotto artistico, non vi sono regole anche se ognuno si dà dei limiti. Anzi le regole ci sono e molto precise, sono date dallo spazio che si ha a disposizione, dal campo in cui si vuole agire e da quello che in quel momento si vuole rappresentare. Le regole paiono essere molto severe ma in realtà non ce n’è nessuna, bisogna muoversi in un ambito dove tutto è possibile ma dove, man mano, si incontrano i confini, i limiti o le possibilità di quel che si è in quel dato momento. È molto interessante e mi piace pensare che tra il grandissimo artista e colui che si esprime in modo elementare, tutto sommato, non c’è nessuna differenza nell’atto creativo. È la qualità finale che è diversa.”
Lo spazio ha casualmente inciso sul suo lavoro, il limite è divenuto stile e ben si sposa coi materiali che usa e il lavoro minuzioso, squisitamente femminile, delle piccole tele. Una gran risorsa da esplorare fino in fondo.
“ Sono curiosa di esplorare le possibilità che quest’ idea di frammentare e poi ricostruire l’immagine mi può offrire. Un’idea da trasportare nella nostra vita per provare a trasformare i propri limiti in risorse piuttosto che arrendersi ad essi. Una lezione che mi viene dal mio lavoro e che ogni tanto devo ricordare a me stessa augurandomi che non si riveli un disastro. Come dice il saggio: Non cercare le risposte fuori di te, sono dentro di te, però sono sbagliate…!
A livello di tecnica bene o male il mio trascorso di artigiana di bigiotteria ed accessori di moda viene sempre fuori , anche nell’uso dei materiali quali la foglia di metallo e la cura dei particolari.
Poi mi piace stratificare molto ed, anche se son partita da un disegno preciso, alla fine non si vede più cosa c’era sotto, scompare completamente ma si sente che c’è…mi piace l’idea e forse fa parte anche del mio modo di essere, io non mi svelo mai mi piace il mistero nelle persone. Secondo me non bisogna dire tutto di sé, anche perché poi si viene fraintesi comunque, ed è giusto che sia anche così.”
Il titolo di una sua mostra “Non sarò mai grande” rimanda al desiderio di trattenere la capacità giocosa propria dei bei bambini, mentre i toni scuri dei fondi aggiungono una nota drammatica. Un effetto voluto?
“Ero partita dal gioco infantile di ritagliare le figurine poi, man mano, è diventato altro e sullo sfondo nero, con quei segni dietro, le bambine dipinte hanno assunto un aspetto meno rassicurante e giocoso.
In quel periodo ascoltavo Amy Winehouse, quel pezzo “Back to black” incessantemente,e mi accorgevo che il fondo nero, l’ essere in qualche modo assorbito da questo scuro, coincideva anche con un periodo in cui c’erano stati molti femminicidi, una parola tremenda, e che sui giornali le immagini di queste donne coesistevano con le interviste agli assassini, ai mariti. Mi chiedevo come fosse stato possibile che una persona più bella ed interessante si fosse accompagnata ad un essere così …e volevo in qualche modo testimoniare un dubbio: ma siamo noi, universo femminile, a non avere la capacità di andare oltre le apparenze e che pur di tenerci un essere accanto subiamo l’inverosimile?
In qualche modo era questo che mi animava, e mi chiedevo se io sarei stata in grado di cercare un rapporto migliore invece di aspettare impossibili cambiamenti dell’altro. La cosa peggiore è quando non c’è più la stima per chi ci sta accanto, il che significa anche non avere più stima di se stesse, una cosa pesante da sostenere. Per tutto questo, forse, quelle figurine di bambine sono diventate simili alle foto-figurine dei giornali, ragazze diventate un’immagine schiacciata, ad una sola dimensione sul giornale. Mi colpiva la riduzione di una vita piena ad una mera figurina da ritagliare e da vestire con l’abito che le si vuole dare. Questo mi arrivava dall’esterno.”
Lei ha indagato i conflitti di coppia e l’ha fatto con grande eleganza e compostezza formale, disseminando di armi discrete i dipinti della mostra: “Effetti collaterali”. Un umorismo nero?“ Non è mai razionale la scelta, è chiaro che in quel momento ero molto arrabbiata e sono uscite queste cose, ma tutto sommato sono anche abbastanza gelide, molto contenute. L’immagine del fucile-gruccia o della bomba-tazza non la si individua immediatamente, sono molto “educate”, e questo sì, è voluto. Desideravo in qualche modo rappresentare questa rabbia che non riesce ad esplodere, che forse in qualche modo bisognerebbe esprimere, ma che è lì congelata e si confonde con tutto il resto. Noi continuiamo, anche quando siamo arrabbiate, a fare tutte le cose che dobbiamo fare, siamo persone educate nei modi, tutto appare normale ed invece non è così, le vicende personali, è strano, vengono sfumate o trasformate.”
Anche se in modo sfumato in qualche maniera racconta una verità personale e la vita entra nell’arte.
“Infatti, in quella mostra c’erano un elefante molto grande ed un rinoceronte che ho rappresentato con una carta che è un merletto, una velina sottilissima, tutto voluto, volevo rappresentare il contrasto tra quello che sembra e quello che è, quello che mostriamo per celare la verità.”
E le interpretazioni che danno di lei, dei suoi lavori, la fanno mai arrabbiare?
“È molto strano certe volte mi hanno molto divertita, arrabbiata quasi mai, cose che non mi sono piaciute al momento poi col tempo mi hanno convinta. Mi hanno suggerito talvolta una lettura che mi è anche piaciuta molto, altre mi hanno preoccupata, poi ho bisogno di operare una selezione anche automatica e di ritenere il detto da chi è interessato al mio lavoro.”
A quale progetto sta lavorando per la sua personale al Pan prevista per luglio?
“Il progetto si chiama TESSERE, una grande scritta che occuperà tutta una parete composta da tanti moduli piccoli, tessere, appunto, per significare tessere insieme. Tessere un tessuto, trame e ordito che si incrociano, ma anche tessere di un mosaico o del domino, tessere significa anche mantenere insieme le cose. L’idea che mi piace è che piccole cose diverse diventano tutt’uno mantenendo la propria identità e qualità. E credo sia una cosa da tener presente a livello umano, ognuno deve rimanere se stesso anche vivendo con altri e gli spazi devono essere equivalenti .
Mi piace anche l’idea di cercare lo spirito del ragno, di Aracne, del tessere insieme, questo credo sia molto femminile, trattenere sempre tutto, poi magari i fili si spezzano però il tentativo va fatto.
Ci sarà un altro lavoro dedicato alla luna e al cambiamento, ciclicamente la luna è in crescita, si trasforma ma rimane sempre luna, anche questo è il suo fascino, il mistero del lato oscuro.
“Su questo ho scritto una filastrocca ispirandomi ad una per bambini, sul cambiamento, che avevo letto, e dedicata all’acqua che si trasforma in vapore e poi in ghiaccio.”
Chi può citare quale punto di riferimento, di partenza per la sua pittura?
“Posso dire che sono tanti, vedo tante mostre e le suggestioni restano, ci sono artisti che mi piacciono tantissimo, non ho un riferimento preciso ma un artista che posso citare è Magritte l’atmosfera le suggestioni dei suoi quadri, poi Mimmo Paladino, difronte a delle sue opere c’è sempre da imparare.”
Come si coniuga la sua innata riservatezza con la necessità di esporre, mostrarsi e mostrare le sue opere?
“Già il fatto di parlare di quello che faccio è imbarazzante, ma trovo molto bello, ed è cosa fondamentale, che l’atto creativo abbia bisogno dell’altro. La mia pittura, come la musica del musicista o la poesia del poeta, esiste nel momento in cui un altro occhio la guarda, un altro orecchio l’ascolta ed è il momento più delicato. L’artista si rapporta e si mette a confronto e deve rendersi disponibile anche a farsi distruggere dal giudizio altrui. Ci si espone e ci si mette a nudo, atto narcisistico ed umile al contempo che esprime un’ambivalenza molto interessante. Poi c’è una componente po’ masochista, credo, nella personalità di chi cerca di fare arte (ognuno al suo livello) ed io mi chiedo il perché del mio espormi. L’arte ammazza un po’ la salute o la nutre. Statisticamente, per fortuna, pare allunghi la vita, mantiene sempre in questo stato di chi va là.”