A distanza di 4 anni dal disastro di Fukushima molte questioni rimangono aperte: che cosa è importante sapere sulla radioattività? I prodotti alimentari provenienti dalla zona dell’incidente sono nocivi? Se ne è discusso a “Fukushima – Food Safety Conference“, un incontro organizzato dalla Tohoku Economic Federation al fine di esaminare la percezione del consumatore in termini di sicurezza alimentare per capire meglio i meccanismi che alimentano la sua fiducia.
L’incontro è stato l’occasione per parlare di questo tema in modo approfondito e per esaminare le similitudini tra l’approccio giapponese e quello italiano, insieme a diverse personalità del mondo accademico ed economico nazionale e internazionale. Hanno aperto la conferenza gli interventi della prof. Claudia Sorlini, Presidente del Comitato Scientifico del Comune di Milano e del dottor Alberto Marsetti, rappresentante di Coldiretti Lombardia, con una riflessione sul concetto di sicurezza alimentare, con particolare riferimento al problema della radioattività.
Per la maggior parte delle persone, Fukushima è, ancora oggi, sinonimo della catastrofe nucleare che, l’11 marzo 2011, si verificò in seguito al potente terremoto di magnitudo 9. Ma quasi cinque anni dopo il disastro, in quella stessa area – che ha una grandezza di circa 14.000 chilometri quadrati ed è sempre stata famosa per le sue bellezze naturali e i suoi prodotti agricoli – molte cose sono cambiate. Nonostante i 20 Km evacuati attorno alla centrale siano ancora inaccessibili, la regione ha dato significativi segni di ripresa ed è dello scorso gennaio la notizia ufficiale che, per la prima volta dal 2011, il tasso di radioattività rilevato (Cesio 134 e 137) sulla produzione di riso del 2014 risulta inferiore ai 100 Bq/kg per unità di prodotto (Bequerel per chilo).
I controlli sono stati effettuati su10.968.811 sacchi di riso e nessun di questi ha superato il limite, non solo: il valore misurato è addirittura risultato inferiore a 25 Bq/kg – per farsi un’idea, assumere per un anno giornalmente cibo con un valore di 25 Bq/Kg equivale ad accumulare tanta radioattività quanta quella di un unico volo Roma-Tokyo di 12 ore – mentre in Europa e negli USA il limite consentito è circa 10 volte maggiore (1000 Bq/Kg). La soglia di tolleranza per la radioattività decisa dal Giappone, molto più severa di quella Europea, è stata decisa per ridare fiducia ai consumatori locali e internazionali e il governo ha anche messo in atto una serie di azioni per rilanciare tutta la regione del Tohoku a livello turistico, valorizzando le bellezze naturali e le ricchissime tradizioni culturali dell’area.
Il professor Ryugo Hayano, professore di Fisica presso l’Università di Tokyo, è stato una figura di riferimento per il Giappone a partire dai giorni immediatamente successivi al terremoto, in un momento in cui le informazioni erano imprecise e confuse, fu il primo a diffondere – attraverso il suo account Twitter che in breve tempo guadagnò più di centomila follower – informazioni tranquillizzanti basate su misurazioni scientifiche oggettive: in uno dei suoi tweet per esempio, si diceva che la quantità di radioattività esterna, era inferiore nei momenti immediatamente successivi al disastro, ai tassi registrati nel 1973 in seguito agli esperimenti nucleari condotti dalla Cina. Oggi l’esperienza del prof Hayano è anche raccontata in un libro scritto a quattro mani con il giornalista Shigesato Itoi, dal titolo “We want to know” (disponibile come e-book), che racconta il percorso di ricerca seguito dal 2011 fino a ora e sottolinea quanto importante sia la correttezza delle comunicazione in situazioni tanto delicate.
“Nonostante le misurazioni che abbiamo condotto non siano mai risultate allarmanti, il 57% delle persone che viveva in un raggio di circa 30 km attorno a Fukushima evitava del tutto gli alimenti dell’area” spiega Hayano “Esiste un aspetto sociologico e culturale del problema che è altrettanto importante rispetto a quello delle radiazioni stesse.“
Proprio per questo, Hayano ha lavorato molto anche con gli studenti giapponesi, arrivando a portarne tre dell’area di Fukushima a Ginevra e in Francia, per dare vita a un programma di scambio e far crescere nei più giovani la giusta consapevolezza sul tema della radioattività e della sicurezza alimentare. Nel liceo di Fukushima vengono anche organizzati campus informativi per gli studenti provenienti dalle altre aree del Giappone al fine di far toccare loro con mano la situazione attuale e offrirgli tutti gli strumenti possibili per l’obiettività di giudizio.
In occasione della conferenza di oggi, due studenti liceali erano presenti e hanno illustrato i risultati di un progetto che ha coinvolto oltre 200 persone nella misurazione dei livelli di radioattività individuali dentro e fuori l’area di Fukushima, nonché in Europa e in Bielorussia, facendo emergere come in realtà a oggi l’area di Fukushima non soffra di valori particolarmente alti rispetto al resto dei Paesi presi in considerazione. Altre analisi effettuate dagli studenti hanno preso in esame diversi alimenti come mele, riso e altre verdure e hanno messo in luce che, a oggi, il livello di radioattività rilevato è estremamente limitato e solo lo 0,4% del pesce supera il livello di 100 Bq/kg. Nonostante questo, la fiducia verso il cibo proveniente da quell’area non è ancora stata del tutto recuperata, con ripercussioni dirette sul prezzo degli alimenti e sull’economia agricola della regione, complice anche la mancanza di un brand forte capace di identificarli.
Un’altra iniziativa per valorizzare il territorio dopo il sisma è un progetto voluto dalla Prefettura di Fukushima, “Fukushima nofilter” volto a valorizzare i luoghi di maggior interesse della provincia. Ogni anno, a partire dal 2013, studenti provenienti da Università straniere vengono invitati a conoscere a fondo la realtà locale e le attrazioni della Prefettura. Nel 2015, in concomitanza con Expo, è stata scelta l’Università degli Studi di Milano e un gruppo di otto studenti di lingua giapponese dei corsi di laurea in Mediazione Linguistica e Culturale e Lingue e Culture per la Comunicazione e Cooperazione Internazionale è partito a fine luglio per conoscere in prima persona, confrontarsi con le realtà locali e conoscere gli agricoltori dell’area vivendo a stretto contatto con loro. Di questa esperienza hanno parlato, nel corso della conferenza, Stefano Maria Iacus, del Dipartimento di Economia, Management e Metodi Quantitativi, dell’Università degli Studi di Milano e Tiziana Carpi, del dipartimento di Scienze della Mediazione Linguistica e di Studi Interculturali.
La conferenza, che vuole essere un punto di partenza per uno scambio costruttivo volto a consolidare le relazioni tra Italia e Giappone nel contesto post Expo, si è conclusa con una tavola rotonda alla quale prenderanno parte Mara Soffientini, Responsabile Servizio Consulenza Food Safety presso ChemService Controlli e Ricerche, il Prof. Vittorio dell’Orto, Direttore Dipartimento Scienze Veterinarie per la Salute, la Produzione Animale e la Sicurezza Alimentare dell’ Università degli Studi di Milano e il Dott. Nicolò Dubini, Presidente di Sogemi