L’energia contagiosa di Francesco Amoruso, coniugata ad una dolce fiducia nelle possibilità che la vita può offrire, sono le cose che per prime arrivano di lui sia nell’approccio scritto sia quando, finalmente, lo incontriamo. Questo giovane cantautore, di cui si avvertono l’impellenza e la necessità di esprimersi, a stare chiuso, confinato, in un campo solo, proprio non ce la fa.
Deve scrivere, comporre, suonare, cantare, espandersi, dire la sua, e lo fa con ironia eclettica e civile sul suo blog divertente e mai banale, nei suoi testi, nei libri, nella maniera beffarda e irriverente di presentare le sue canzoni in pubblico.
I testi, che nascono spesso di getto in apparente scanzonata forma, raccontano di figure e problemi sociali senza avere la presunzione di mutare le cose, ma con la speranza di contribuire a stimolare coscienze ed alleviare anime. E tra tutte le cose che ama fare, se proprio, ecco, fosse costretto a scegliere di continuare in un’unica direzione, è della scrittura che Amoruso non saprebbe fare a meno e il suo sogno più bello è quello di aprire una libreria a Secondigliano.
Al suo primo album “Il gallo canterino” (Illimitarte) è seguito il singolo, uscito il 2giugno, “L’Ombroso”, ispirato al noto inventore della triste teoria basata sulla relazione esistente tra la fisiognomica e la violenza e secondo la quale si è criminali per nascita!
– Mi ero convinto che la mia malattia fosse frutto di questa democrazia, alla fine è solo un fatto di fisionomia – (Cit. da L’Ombroso)
Tutto è scritto nelle caratteristiche anatomiche del povero criminale, per Lombroso che, infine e per fortuna, fu radiato dalla Società Italiana di Antropologia ed Etnologia.
La canzone di Amoruso è antirazzista, è un’amara critica della nostra democrazia che non sa accogliere né valorizzare le diversità e, come lui stesso sostiene, è una canzone che ha troppe parole, logorroica, “Caparezziana”, un quasi rap, ma alla sua maniera. Noi ne conosciamo un’altra, una filastrocca “sballata” Paperepare ‘e ppà, cose che stuzzicano la curiosità e invitano a saperne di più.
Ci spieghi un po’ questa storia delle troppe parole di L’Ombroso, non sono quelle che dovrebbe avere, ne una di più ne una di meno, e come mai ha pensato a questo personaggio?
“E’ una canzone antirazzista che racconta di un personaggio razzista, poco retorico e scontato per la nostra città. Seguendo le teorie di Lombroso potrei dire: Sono napoletano e quindi sono destinato a farvi fumi tossici col carbonio sulla pizza e con la spazzatura, sono un violento? E trattatemi da violento, ma figlio di questa società, allora, se pensate che a questo sono destinato, sono figlio di questa democrazia! La canzone è logorroica, tante le parole, ma dovevo dire tutto e non avrei potuto fare diversamente, come quando fai un tema a scuola. E’ un brano Caparezziano, me lo dicono in molti, è venuto così ed in fondo è la forma migliore per esprimere la logorrea e, nelle rime e nell’espressione, è quasi un rap, ma un po’ melodico e non monotono. Ho provato a fare rap alla mia maniera, è il mio modo, le mie rime, le mie fissazioni e il mio vissuto. E’ la mia disperazione nei confronti della musica.”
Cosa intende per disperazione nei confronti della musica?
“L’ombroso” l’ho scritta due anni fa ed è uscita solo quest’anno per difficoltà economiche e di tempi. E’ per me una costante essere già più avanti rispetto a quello che ho scritto e che vede la luce con ritardo . L’ iter da seguire è lungo per produrre un album, magari con più fondi il tempo di lavorazione si ridurrebbe a pochi mesi. Ci sono poi gli stereotipi legati all’essere napoletano, da affrontare. Andai a Sanremo anni fa, mi chiesero di cantare Caruso perché sono napoletano. Perché questa analogia? Lo stilema può essere comune, ma deve esserci sempre la personalità del brano, carta vincente dell’artista. Bisogna essere se stessi e crederci, bisogna essere coerenti. Ora con L’Ombroso ho cantato una canzone contro i luoghi comuni, i testi sono molto importanti nelle mie canzoni e questo pezzo è contro gli stereotipi, contro l’intolleranza razziale e sociale, contro questi modi di fare delle persone. Il motivetto della canzone si oppone alla censura ed attraverso la costante anafora si può raccontare, ad un certo punto dico: ma si, infischiamoci di tutti questi argomenti, facciamo una melodia che ci entri in testa, col fare finta di dire una cosa e poi dirla veramente sperando che la comunicazione sia efficace e corretta. In questo disco ero arrabbiato, il prossimo sarà diverso!”
Oggi scrivere in lingua napoletana è un atto d’orgoglio identitario e di ricerca, qual è la sua posizione?
“Molti mi hanno chiesto perché non scrivo in napoletano. Secondo me chi canta in italiano è penalizzato, ho molti amici che hanno vinto premi importanti ma sono meno conosciuti di quelli che cantano in napoletano, il folklore napoletano è maggiormente riconosciuto anche fuori Napoli. Io non mi sento ancora capace di esprimermi in napoletano, i miei percorsi di studio sono stati in lingua italiana e mi piace approfondirla ed usarla per esprimermi e sperimentare, mentre la lingua napoletana non lo conosco ancora bene. Alcuni miei amici hanno un altissimo livello di conoscenza e capacità espressiva in napoletano. Metricamente va bene dappertutto, ma è troppo italianizzato al giorno d’oggi. Le parole tronche finali appartengono inevitabilmente alla lingua stessa e si rischia di essere semplicisti o banali, per questo bisogna conoscere interamente il bagaglio culturale della lingua prima di cimentarsi con essa.”
I testi costituiscono l’aspetto più originale e interessante della sua produzione, le parole sembrano essere importanti per lei.
“Quello che mi ispira è il gioco, ed alcuni brani nascono proprio da giochi di parole sulla provocazione, dalle assonanze, da freddure ridicole che però a me piacciono. La somiglianza tra parole, la similitudine, le assonanze. C’è una ricerca spasmodica della parola. Mi piace andare a cercare le più complicate somiglianze tra le parole. Conoscere parole nuove non fa male, il migliore amico di chi scrive è il vocabolario. Non ne faccio molto uso perché ho bisogno di parole mie, ma a volte posso anche utilizzarlo“.
I suoi sono temi sociali, sul suo blog è sempre pronto a cogliere con sarcasmo vizi e virtù dei nostri tempi. Il privato è mai entrato nelle sue canzoni?
“Del mio privato scrivo in poesia pensando alla mia ragazza con la quale sto da sette anni, partendo dalle mie fisime mentali, da come sono come persona, dalle mie insicurezze e dalla consapevolezza che se sono sereno è perché nella mia vita c’è lei. A mio zio Angelo dedicai il brano “Prufessò” , lui è andato via all’improvviso, e rappresenta per me tutto quello che faccio oggi, fu un suo regalo la mia prima chitarra. Mio zio era un amante della scrittura e lo chiamavamo ironicamente così perché sapeva sempre tutto ma paradossalmente non faceva mai niente. Le canzoni che scrivo riguardano soprattutto il sociale, al momento, ma è un caso, domani potrei scrivere anche canzoni d’amore. L’esistenzialismo c’è , ci sono entrambi i temi. Mi piace scrivere anche poesia laica, tra il sociale e lo storico. Ho scritto una canzone su un palestinese che mi ha raccontato la sua vita su un treno, lungo il tratto Brescia – Parma.
Che cosa ha dovuto fare per farsi conoscere, quali le difficoltà affrontate?
“Per farmi conoscere ho mandato i miei testi a vari festival, come autore fondamentalmente, fino a quando mi hanno fatto capire che ero più forte come cantautore, per l’originalità dei miei testi. Dal 2010 ho iniziato a partecipare ai primi concorsi ed a vincerli e da allora non ho smesso più. Ogni tanto scrivo per altri, ma sono canzoni spersonalizzate. Poi sono stato fortunato perché ho incontrato persone che mi danno una mano, che mi sostengono. Lo studio di regia di Raffaele Cardone mi ha dato fiducia. Collaboriamo, ci appassioniamo, lavoriamo fino a tardi. Ora stiamo preparando un nuovo brano “L’era dei CD invenduti”. Io, poi, avverto la nostalgia del vinile, ne ho un’intera collezione ereditata da mio zio. Ho il sostegno anche della mia famiglia e i miei fratelli collaborano alla realizzazione dei miei dischi e dei video, l’ultimo l’abbiamo girato nella polleria di mio zio!!! Lavoro in un’associazione per mantenermi agli studi e anche questo rallenta il tutto, e amo suonare in strada quando gli impegni me lo consentono. Il problema principale è sempre economico, conosco molti validi musicisti che fanno fatica ad emergere, a produrre decentemente i loro pezzi. E’ per questo che ritengo che tutti meritino un attento ascolto, lo stesso che si darebbe ad un brano di Giovanotti o di altri cantautori affermati. Non è il DNA che fa le carte.”
Il nuovo singolo di F. Amoruso “L’Ombroso” arrangiato da Raffaele Cardone e prodotto da ILLIMITARTE e il video realizzato da Emanuele Amoruso sono online su Youtube e in tutti i Digital Store (Itunes, Spotify, Amazon, Deezer). L’autore è specializzando in Lettere Moderne, compone poesie e canzoni, due delle quali sono arrivate in finale al Festival di Sanremo 2010, ha pubblicato il romanzo “Il ciclo della vita”, edito da Statale 11 e il racconto “Lo stupro più grande della storia”.