La Sala Conferenze del Museo di Santa Giulia a Brescia accoglie lunedì 19 giugno la presentazione delvolume monografico della scultrice Franca Ghitti edito da Skira, a cura e con un importante saggio introduttivo di Elena Pontiggia.
L’evento è organizzato dalla Fondazione Archivio Franca Ghitti, da Brescia Musei e da Skira e prevede l’intervento di Massimo Minini, Presidente di Brescia Musei; Luigi Di Corato, Direttore Brescia Musei;Cecilia De Carli, Storica dell’Arte, Università Cattolica, Milano; Fausto Lorenzi, Giornalista e Critico d’Arte; Elena Pontiggia, Storica dell’Arte, Accademia di Belle Arti di Brera.
Alla presentazione partecipano inoltre Arianna Baldoni, docente di Storia dell’Arte Contemporanea presso lo IED di Milano; l’architetto Giovanni Cadeo dello Studio Cadeo di Brescia, che con unariproduzione di immagini illustra il progetto di ristrutturazione del fabbricato che sarà sede dell’Archivio Franca Ghitti, cui si dedica dal 2013.
Sono presenti anche il regista Davide Bassanesi con la proiezione del trailer del documentario “Franca Ghitti. Il film”, che ripercorre i momenti più significativi della vita della artista, il fotografo Fabio Cattabiani, autore della maggior parte delle fotografie nel volume che per l’occasione mostra una gallery significativa e Pier Matteo Ghitti, Amministratore Delegato della Barone Pizzini, co-sponsor del volume.
La monografia traccia il percorso artistico di Franca Ghitti (1932-2012), scultrice di fama internazionale, dagli anni cinquanta alla sua scomparsa, le cui opere fanno parte di importanti collezioni pubbliche e private tra cui la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma e i Musei Vaticani.
Ne scaturisce una lettura globale dell’opera dell’artista che ha inizio in Valle Camonica, sua terra di nascita a cui rimane significativamente legata durante il corso di tutta la sua vita; il libro ripercorre le tappe più significative – dagli studi artistici a Milano, a Parigi e Salisburgo, all’esperienza degli anni trascorsi in Africa fino alle mostre internazionali – da cui emerge il ciclico ritorno alle origini e alla sua terra, che la sprona a continui studi, approfondimenti e ricerche.
In un intreccio che offre uno spaccato curioso e al contempo molto interessante, l’avvincente volume mette il lettore in contatto diretto con il personaggio e con la società artistica e intellettuale dell’epoca.
Molto attenta alla scelta dei materiali, Franca Ghitti predilige soprattutto quelli legati alla terra e al mondo del lavoro, fra cui vecchie assi di legno e avanzi di segheria, successivamente utilizza anche il ferro e i metalli, recuperati nelle antiche fucine della Valcamonica, come stampi, ritagli, tondini, chiodi, polvere di fusione, ma anche scarti di lavorazione delle industrie metalliche.
La sua espressività, incentrata sulla ricomposizione, restituisce ai materiali nuova energia e profondi significati; un linguaggio essenziale e concreto, legato alle linee, alle forme, alla geometria, che unisce in un armonico dialogo il presente al passato. Numerosi sono infatti i riferimenti alle incisioni rupestri e ai simboli primitivi delle tribù africane che si mescolano a espressioni moderne e contemporanee.
Nel suo testo critico Elena Pontiggia afferma: “Quello di Franca Ghitti è un mondo complesso, un crogiolo di esperienze occidentali e primitive, di arte e architettura, di ripetizione e differenza. La sua scultura è sempre un disegno di mappe, una collezione di segni: non cerca il volume, il modellato, la massa, ma la superficie, la tavola, la pagina.
La sua arte insegna la ricerca di alfabeti che non si trovano nei libri e di mondi che non coincidono con il nostro. Insegna che le mani sanno quello che la mente non capisce, mentre il linguaggio dei segni custodisce qualcosa che le parole non registrano“.
I primi lavori in legno, realizzati negli anni sessanta, intitolati Mappe, sono tavole di legno ispirate alle incisioni rupestri a cui seguono altri cicli scultorei, sempre di matrice minimalista, a cui si aggiunge l’utilizzo di nuovi elementi, i chiodi, considerati dall’artista fondamentali per l’uso e la forma. Fra questi si ricordano I Rituali, Le Vicinie, Le Storie dei morti, I Reliquiari che restituiscono la cultura contadina e in cui si allude alla tradizione, alle leggende, al dialetto, ai canti, ai proverbi.
Negli anni settanta, l’esperienza africana e il suo trasferimento per alcuni anni in queste terre, conducono l’artista ad inserire nel suo linguaggio nuovi simboli, nuovi colori, nuovi materiali fra cui il cemento e il vetro, come si osserva in Orme del Tempo. Totem.
In un continuo divenire, i lavori di Franca Ghitti assumono negli anni successivi dimensioni e forme diverse sempre intrinsecamente legate al suo vissuto, come la verticalità, ispirata dalla visione dei grattacieli di Montreal e dai boschi del Labrador, che caratterizza le opere Cancelli, Libri Chiusi, Alberi. Il ritmo verticale tuttavia è spesso contrastato da un’energia orizzontale, resa dall’accostamento seriale di tessere e liste di legno, come se la materia fosse tessuta o intrecciata. In una poetica costantemente attenta al rapporto con lo spazio, alla fine degli anni ottanta si inserisce l’interesse per la forma circolare, Ciclo dei Tondi, dove il cerchio più o meno regolare evoca il concetto di ripetitività.
Anche nelle installazioni, Meridiane, sono presenti temi legati al tempo e allo spazio, ma aprono contemporaneamente nuovi orizzonti con esplicite riflessioni sulla città, sull’architettura e sul linguaggio; in Alfabeti perduti e Altri Alfabeti realizzati alla fine degli anni novanta l’artista riscopre linguaggi dimenticati, di culture passate.
La ricerca artistica di Franca Ghitti prosegue negli anni duemila con continui approfondimenti, che contengono la memoria di vissuti comunitari legati a epoche e luoghi differenti connessi alla contemporaneità. Lo si osserva nel ciclo di lavori Pagine chiodate dove fogli e oggetti sono trafitti da una fitta sequenza di chiodi. Testimonianza dei suoi ultimi anni è l’Ultima Cena, ritenuta da molti il capolavoro dell’artista camuna. Si tratta di un’installazione che Franca Ghitti ha costruito intorno a un dipinto a olio realizzato nel 1963 raffigurante il Cenacolo e da vari elementi come una rete di ferro, tazze in ferro, lance, semi, pane e carbone. L’opera dal 2010 è stata presentata in prestigiose sedi di cui si ricordano il Museo Diocesano di Brescia nel 2011, l’antiquum Oratorium Passionis di Sant’Ambrogio a Milano, sempre nel 2011 e l’Università Cattolica di Milano nell’ambito delle manifestazioni dedicate a Expo 2015. Nel 2012 l’opera viene acquisita per la collezione d’arte del museo Diocesano di Brescia, grazie alla lungimiranza del Direttore Don Giuseppe Fusari.
A proposito delle sue opere l’artista affermava: “Vorrei che il mio lavoro fosse ricordato come un lavoro, appunto. Non ho mai avuto un’idea romantica dell’arte come emozione, sensazione, cosa privata, ma ho sempre cercato una sorta di documentazione, informazione, archiviazione. Non ho cercato la mia voce ma tutte le voci, soprattutto le voci che nessuno ascoltava: le voci della Valle, che è un frammento della valle del mondo“.
In seguito alla morte di Franca Ghitti, per volontà della scultrice è nata la Fondazione Archivio Franca Ghitti che si propone di promuovere l’opera dell’artista a scopo culturale in Italia e all’estero.