Franca Alaimo, per chiunque la conosca e noi l’abbiamo conosciuta lo scorso anno in un breve folgorante incontro, è una donna “indivisa”, un poeta “indiviso”, ossia un seducente Giano bifronte dove la femminilità della donna e il talento del poeta sono presenti nell’identità di un unico essere che non offre spazio a incongruenze, a delusioni di alcun tipo. La donna è vitale, sofferta, carica di esperienze drammatiche eppure attaccata alla vita, alla natura, all’anima delle cose, capace di empatia con l’umanità e con l’universo, respira, vive, agisce senza scollamenti col suo essere poeta, perché la poesia in lei ha la stessa energia cosmica che la pervade come essere umano, perché in lei, donna e poeta, il dolore come la gioia si vive e si canta con cuore e pagina aperti.
Poeta, saggista, narratrice, docente, critica letteraria (la sua attività di recensione ha messo in luce la poesia di molti autori contemporanei), nata a Palermo, dove vive, esordisce come poeta nel 1989 con Impossibile luna, a cui seguiranno molte altre sillogi, tra le quali citiamo le due ultime : Sempre di te amorosa e Traslochi. La sua attività poetica e culturale è da allora intensa e attiva. La scelta di dedicarsi alla poesia, nonostante il suo talento si sia rivelato molto precocemente, risale agli anni ’80, quando entra in contatto con i poeti dell’Antigruppo Siciliano, determinati a sostenere una cultura popolare e un linguaggio di rottura. Sul sito La Recherche ha pubblicato tre e-book (due sillogi poetiche ed un epistolario). Ha collaborato con le riviste L’involucro e Spiritualità&Letteratura, ed attualmente collabora con la rivista on-line La Recherche. Sue poesie sono state pubblicate in molte antologie e riviste e storie della letteratura contemporanea, tra le quali Insulari. Romanzo della letteratura siciliana, curato da Stefano Lanuzza (Stampa Alternativa, 2009).
La bellezza dei suoi versi, pura lirica che possiede un linguaggio raffinato, intenso, preciso, scolpisce nella mente dei suoi lettori un’incancellabile Odissea dove la Alaimo è al tempo stesso il cantore e l’eroe del viaggio che racconta. La complessità del suo mondo intimo di persona si cala in una poesia di potenti metafore, di sinergie, di metamorfosi che rivelano il processo di ogni cambio, di ogni perdita, di ogni addio, di ogni profondità raggiunta nel silenzio della notte e dell’anima. È una figlia del Mediterraneo, una figlia di Sicilia, i suoi versi possiedono quelle luci speciali, quei colori, quei ritmi che contengono una storia antica e nello stesso tempo un’anima cosmopolita a cominciare dalle sue origini siculo–tedesche, proseguendo per i viaggi fatti o sognati, per gli incontri, per le realtà altre alle quali la sua curiosità e il suo interesse le hanno permesso di accedere. “Che viviamo, sì, che viviamo sole/ in un’isola con tanto mare/ attorno, e le Sirene blu che cantano,/ che cantano sopra gli scogli assolati/ in mezzo all’onde […] Sono loro che c’infilano dentro le orecchie/ un liquore d’alghe, di stelle e di coralli:una fattura ci fanno, una magia bellissima,/ che fa delirare: oh mare, mare di parole/ azzurre e verdi che tutte ci colorano.”
In questa complessità di componenti esistenziali e culturali la sua poesia per slittamenti di musicalità e di senso perviene a una modernità vera, non fatta di sterili sperimentalismi, di azzardi tecnici, ma di quel volo che nasce dalla propria capacità di mettersi in gioco, di confrontarsi sul presente, di prendersi sulle spalle il mondo e giocarci a palla come una bambina spensierata e poi deporselo sul grembo e tentare di curarlo come una “mater dolorosa” e amorosa che ne conosce le ferite. Nella sua poesia si ascoltano echi di mondi a volte distanti. Si nasconde, reinterpretata nell’anima e nelle parole, una parte della poesia sudamericana di cui possiede il ritmo appassionato, il sottile abitare sempre un confine, una danza rarefatta e a volte selvaggia tra la vita e la morte, tra la tragedia e il trionfo, un canto che sa raccontare la pena e l’allegria riconducendo tutto alla necessità forte di un’ ostinata speranza. “Peccato che quasi nessuno veda la città/ quando sogna, immobile,/quando l’aria è colma di misteriosa sapienza,/ quando persino l’urlo di una sirena è così lontano/ da sembrare un verso gentile ed irreale. […] Ma ora vado a sdraiarmi sul letto:/ sarà bello lasciarsi cullare dai rari fruscii/ che immagino allargarsi sul mondo/ come fiori notturni…”
Tra le grandi passioni letterarie di Franca Alaimo brilla la poetessa argentina, Alejandra Pizarnik, morta suicida nel 1972, a cui dedica il libro Alehjandra es aquí e con la quale costruisce una sorta di sorellanza emozionale e poetica, che chiama “voce terribile e nuda” confrontandosi con lei nella sua parte più oscura, quella dove il dolore affonda gli artigli in ferite irreparabili. Ci pare che questa sorellanza sia un atto d’amore alla tragedia in cui la Pizarnik patisce e muore, ma nonostante questo processo di identificazione emozionale e poetica, ci sentiamo di affermare che l’oscurità della Alaimo è luminosa, risorge in una continua affermazione della vita e dell’amore, non soggiace all’autocompiacimento del dolore, accetta con saggia semplicità gli eventi della vita trasformandoli in occasioni di consapevolezza, in immagini calde di una forza poetica che attinge al dolore ma lo supera, lo trasforma in bellezza, in comunione col mondo. “Perché, Alejandra, le nostre anime sono sempre in tumulto?/ Perché ci seduce nello stesso modo lo splendore della luce/ e il mistero dell’ombra? Io a volte penso che le piccole cose/ d’ogni giorno siano molto più profonde di quanto si creda….”.
La Alaimo percorre come la Pizarnik i cuniculi oscuri, i sotterranei della sua vicenda umana ma a differenza dell’argentina mantiene uno sguardo non depressivo sul mondo e estrae man mano dai suoi privati dolori quella cadenza luminosa dei suoi versi, una danza leggera delle parole, nel senso della leggerezza che Italo Calvino attribuiva al pensieroso Guido Cavalcanti, rispetto alla falsa leggerezza dei giovani gaudenti che lo prendevano in giro per non sapersi, secondo loro, godere la vita. “Bisogna adattarsi, sai/ ad annodare ogni cenno d’amore e di gioia/ per sentire la trasparenza dell’alba/ sopra le palpebre…”
Franca Alaimo tiene chiusi nel segreto del suo cuore i tormenti di una vita dura e difficile, “ Dalla pianta dei piedi alla fronte/ brucio e non ha più requie l’anima/ che sfrigola nella fiamma e scintilla./ È il mio corpo una città accerchiata,/ i ponteggi bruciati, cadute le impalcature/, il cuore una coppa di cenere.”, e li trasfigura nei suoi versi raccontandoci come si riconosca nel dolore degli altri, come si commuova delle vite perdute, la sua poesia pur così profondamente lirica sa raccontare la pena e la gioia di tutti, epicamente diventa a tratti il canto di una solidarietà profonda con l’altro, non è mai solipsismo esasperato, non è mai un Io che grida per coprire le voci degli altri, l’altro è compagno dell’Io, è un Tu che fa da specchio, da contraltare, da cassa di risonanza, da confronto e da sfida. Così canta, ad esempio, i morti di Amatrice, così sente come suo quel dolore:“Posso inginocchiare accanto a voi / il mio dolore semplice come/ una mandorla sgusciata, nudo/come un sentimento primordiale”. Un Tu che ama e si fa amare, in presenza o in assenza, un Tu che è a volte figura del rimpianto e del desiderio, come nella madre precocemente perduta, immagine sconosciuta sul cui mito il poeta fonda la sua identità di donna nella raccolta Sempre di te amorosa : “Sei tu che mi porti viole di ombre diffuse/ sul viso del tempo mai più condiviso,/ offrendole con lo stesso sorriso/ allo jpecchio appannato della memoria./ Ma adesso che invecchio e tu ancora/ possiedi la bionda meraviglia/ dei tuoi giovani anni, io mia dolcissima figlia/ potrei chiamarti, e tu madre, io e tu diventate/ sorgente e foce mescate, confuse:/ è l’amore che ci tiene abbracciate.”
Il poeta dispiega l’ampio ventaglio delle emozioni umane, scandaglia con sapienza e senso di appartenenza i meandri dell’anima femminile, ha fatto esperienza del lato oscuro e di quello luminoso del mondo in cui si trova a vivere e con pietà umana, con rispetto, con staffilate di potente energia lo racconta. “Mi cerco l’anima tra le costole/ ma la gabbia toracica scricchiola vuota./ La chiamo, e tira fuori solo un sospiro/ dall’accumulo d’aria nei polmoni./ E poi non sento più la bocca di Dio sopra la mia/ quel suo fiato vibrante d’amicizia/ che consola la scatola del mio corpo…” Niente di ciò che ha vissuto, per quanto terribile, ha impietrito la donna, ne ha inaridito il cuore, e al poeta una grazia speciale è stata concessa, la polifonia di cui i suoi versi risuonano: l’irruente calore di immagini e suoni dei sudamericani, da Juan Gelman a Mario Benedetti, a Alejandra Pizarnik, la voce ebreo–tedesca di Else Lasker Schuler, quella dell’austriaca Ingeborg Bachmann, entrambe capaci di estrarre dalla quotidianità raccontata versi sublimi, i grandi della poesia italiana del Novecento, molti dei quali personalmente conosciuti, come Russel, Spaziani, Luzi, Squarotti, vi serpeggiano per omaggi, per improvvise assonanze, per fraterni contrasti.
La Alaimo ama la natura, ama i fiori nella cui bellezza si incarna la “gratuita grazia dell’effimero”, ama le piccole cose di una vita “normale” e insieme ama scavare dentro questa normalità laddove le leggi si sfilacciano e un’altra realtà ci si presenta aprendo le porte della percezione. Come diceva il poeta e pittore romantico William Blake “Quando le porte della percezione si apriranno tutte le cose appariranno come realmente sono: infinite”. Chi più del poeta può aprire queste porte e porsi in ascolto? Infiniti mondi ci circondano, lo afferma la scienza, l’hanno sempre saputo i poeti, attraversati da sempre da tutti i mondi possibili che si toccano, si elidono, si trasformano nel contatto e nella visione.
Franca Alaimo sembra aver fatti suoi questi versi di William Blake tratti da Auguri di innocenza: “Per vedere un mondo in un granello di sabbia/ e un paradiso in un fiore silvestre/ sostieni l’infinito nella palma della mano/ e l’eternità in un’ora.” Così nel nostro poeta la normalità è solo una porta attraverso la quale entrare senza smarrirsi nel caleidoscopio delle possibilità infinite. Un fiore, una mano, un volto, una musica sono chiavi per entrare laddove lo spazio e il tempo sfuggiti alle leggi newtoniane ci lasciano in un Nulla tutto da riempire, da ripopolare di eventi e di sogni. E allora il Nulla non fa più paura, neppure il vuoto, la morte, neppure la presenza o l’assenza di Dio. E allora la poesia salva sciogliendo i nodi, riducendo gli incubi a favole dell’inconscio, si fa medicina, terapia, canto di Orfeo che può entrare agli Inferi e uscirne con la sua fragile cetra e il suo armonioso canto. Franca Alaimo è questo Orfeo uscito incolume dal suo Inferno per raccontarci l’Inferno di tutti, per trasformarlo in bellezza nei suoi versi e aiutarci a vivere. “Ci sono giorni in cui guardando/ i volti della gente/ la loro bellezza mi sorprende/ fino a spalancarmi il cuore/ come un colpo di vento./ E a tutti vorrei dire: io vi amo,/ vi amo solamente perché ci siete, perché siete vivi./ E come mi commuove/ l’illividirsi lento lento/ delle cose nella putrefazione/ che mi insegna la pietà del tempo/ nel preparare la sorte del morire…”