Formazione manager: c’è un tempo stabilito per raggiungere certi livelli professionali? E’ vero che certe occasioni capitano una volta sola nella vita, magari quando si è giovani? Non sembra. A dimostrarlo è la cosiddetta Generazione R. Un gruppo trasversale per età ed estrazione lavorativa accomunato da un solo desiderio: rimettersi in gioco per intraprendere nuove strade. Filippo Poletti ha voluto raccontare la Generazione R, le storie di chi, come lui, ha deciso di rinascere professionalmente, frequentando la business school del Politecnico di Milano. 101 storie raccolte nel volume dal titolo “MBA Power: innovare alla ricerca del proprio purpose”.
Filippo Poletti, Generazione R sta per…?
Sta per Rinascita. Sono i manager di età compresa tra i 30 e i 60 anni, io sono uno di loro, che in piena pandemia – quando sembrava che non esistesse più un domani ed eravamo tutti preoccupati per i tragici bollettini dei malati di coronavirus e addolorati per la perdita di parenti, amici, conoscenti e persone sconosciute – hanno deciso di rinascere professionalmente, frequentando la business school del Politecnico di Milano. Concluso il percorso di executive MBA, acronimo di master of business administration, ho deciso di pubblicare questo libro, raccontando 101 storie di rinascita e dando vita al primo esempio in Italia di MBAtelling o racconto sulla formazione manageriale.
Quale spirito anima la Generazione R?
Lo spirito ribelle. Per innovare bisogna andare da zero a uno. Lo dice bene Peter Thiel, co-fondatore di PayPal, la piattaforma di pagamenti digitali. Per costruire il domani non serve andare da 1 a “N”: non serve solo, in sostanza, un cambiamento incrementale che aggiunga qualcosa in più a ciò che ci è familiare. Occorre progettare e realizzare un cambiamento radicale. Serve tirare una somma e ripartire. Serve, in una parola, disubbidire. Se la voglia di guardare al futuro della Generazione R fosse una canzone, potrebbe essere “Terra promessa” di Eros Ramazzotti. Ricordate? “Noi non ci fermeremo, non ci stancheremo di cercare il nostro cammino”.
Quali sono stati i temi affrontati nel programma della business school del Politecnico di Milano?
Siamo rinati studiando o ristudiando le competenze “dure” come la trasformazione digitale e quelle “soffici” come la leadership gentile, le stesse, queste ultime, che mi piace chiamare “competenze di vita”. Ci siamo messi a studiare e ristudiare come si governa la trasformazione digitale, come si fa innovazione radicale o incrementale, come si sviluppa il pensiero progettuale, come si mette in piedi una startup oppure come si gestisce il cambiamento in azienda. Abbiamo aggiornato la nostra cassetta degli attrezzi sul lavoro, comprese le competenze in ambiti altrettanto strategici come l’economia internazionale e industriale, la contabilità finanziaria, i processi aziendali e la catena di approvvigionamento. Ai nostri tempi servono professionisti con competenze trasversali. Si parla tanto di essere “multitasking”. Lo dico in lingua italiana: bisogna essere “politecnici”.
La generazione R comprende in realtà persone di età diverse. Cosa significa secondo lei?
Negli ultimi anni l’età di accesso alla pensione di vecchiaia è stata spostata in avanti. A meno di novità nella legislazione italiana, il lavoro chiede a tutti noi di restare attivi per un arco temporale molto dilatato. Occorre aggiornare periodicamente le competenze, siano esse tecniche che relative alle relazioni interpersonali. Serve imparare e rimparare. Bisogna, per tornare al punto da dove siamo partiti, rinascere continuamente come professionisti.
In copertina foto di Kayla Aguiar da Pixabay