(Adnkronos) – “La politica italiana sta appesa alle coalizioni. Ma le coalizioni stanno appese al nulla, o quasi. E così, la navigazione prosegue senza meta, oscillando di continuo tra patti di sangue che non vengono rispettati e congiure di palazzo che non vengono portate a termine. Di maggioranza o di opposizione che siano, le nostre alleanze restano sempre in bilico tra paci e guerre che si lasciano quasi sempre a metà. Non è solo il tema di questa legislatura. E’ dalla notte dei tempi che i governi poggiano su di una faticosa promessa di collaborazione tra partiti affini. Simili eppure rivali. Legati da qualche somiglianza ma protesi anche a difendere la propria originalità.
C’è una lunga storia, che comincia con De Gasperi e arriva fino ai giorni nostri, tutta intessuta di quel continuo andirivieni tra soci di maggioranza troppo legati per andar da soli e troppo individualisti per andar d’accordo fino in fondo. Così oggi, lamentarsi e denunciare la poca armonia che regna tra Meloni e Salvini, o dalla parte opposta tra Schlein e Conte, può apparire come un rito stanco e inutile. E’ sempre andata così e continuerà ad andare cosi dato che nessuna persona di buonsenso può immaginare che un giorno o l’altro la contesa politica si possa incarnare e riassumere in due e due soli partiti.
E però proprio per questo le coalizioni, di maggioranza o di opposizione che siano, avrebbero bisogno di regole e di principi. Si dovrebbe definire prima cosa è negoziabile e cosa no, su quali basi poggia lo stare assieme e quali confini si possono invece attraversare in nome del proprio legittimo particolarismo. Altrimenti la vita degli schieramenti finisce per diventare un happening. Spettacolo del quale ormai neppure gli abbonati sembrano essere troppo soddisfatti.
Si dovrebbe almeno fissare un punto. E cioè quello -cruciale- della più rigorosa disciplina in materia di politica estera. Infatti, si può litigare fin che si vuole sul terzo mandato o sulle politiche radiotelevisive. Incrociare i ferri tra alleati ogni volta che si profila una nomina all’orizzonte. Disputarsi ferocemente il potere locale. Ma sull’orizzonte internazionale, almeno su quello, dovrebbe invece essere tassativo andare d’amore e d’accordo. E invece l’asino casca proprio in quel punto.
A destra e a sinistra, peraltro. Avviene infatti che sui grandi dossier geopolitici, quelli che fanno epoca, ci si lasci andare da un po’ di tempo in qua ad una sorta di ordine sparso, come a concedersi un reciproco giro di valzer sotto gli occhi increduli del resto del mondo. E’ ormai acclarato, ad esempio, che la Lega non condivide affatto la postura rigorosamente severa della premier verso la Russia putiniana. E altrettanto che il M5S versione Conte non perde occasione per distinguersi dal sostegno (armi incluse) che il Pd offre alla causa ucraina.
Tutte cose a cui ci si sta finendo con l’abituare, assai colpevolmente. Almeno in questo si dovrebbe recuperare l’antico retaggio della prima repubblica. Laddove ogni patto di governo era rigorosamente poggiato sulle affinità che si registravano sui grandi dossier planetari. Salvo magari litigare su tutto il resto. Ma solo dopo aver messo al sicuro il buon nome del paese e della sua politica globale. Ora, dato che di coalizioni se ne formeranno altre, e nessuna forza politica potrà mai ragionevolmente pensare di governare senza costruire uno schieramento più vasto, sarebbe il caso che si cimentassero tutti nel compito di fissare alcune regole.
Così da poter magari litigare allegramente sulle nomine nelle aziende partecipate o sul prezzo della benzina. Ma anche, assai più seriamente, così da salvaguardare il nostro buon nome sulla scena internazionale. Diversamente, un giorno o l’altro dovrà capitare che Meloni e il Pd si trovino involontariamente alleati l’una con l’altro in nome di un mondo che brucia. O piuttosto, specularmente, che si trovino alleati Salvini e Conte in nome di un ordine occidentale da scompaginare. Scenari da incubo, direbbero i protagonisti -accomunati almeno in questo. Salvo averli costruiti senza quasi rendersene conto con le proprie stesse mani”. (di Marco Follini)
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