Il 10 febbraio si ricordano i massacri delle foibe. Si ricordano, cioè, gli eccidi compiuti dalle truppe e dai partigiani jugoslavi ai danni della popolazione di Dalmazia, Venezia Giulia e Quarnaro di etnia italiana nell’ultimo periodo della Seconda Guerra Mondiale. In conseguenza degli eccidi si sviluppò un altro fenomeno: l’esodo giuliano dalmata. La migrazione forzata degli italiani che vivevano in quelle zone. Inquadriamo il contesto storico nel quale sono maturati questi atti così brutali.
Dall’Impero Romano alla Prima Guerra Mondiale
La regione che si estende dalla Venezia Giulia all’Istria è da sempre punto d’incontro di popolazioni di cultura romanza e di cultura slava. Nel corso dei secoli è stata parte dell’Impero Romano d’Occidente, del Sacro Romano Impero, della Repubblica di Venezia. Questo alternarsi di dominazioni non ha impedito alle popolazioni del luogo di convivere pacificamente pur appartenendo a etnie e culture diverse. Fino al XIX secolo chiunque vivesse nella regione si dichiarava semplicemente istriano o dalmata senza alcuna spinta nazionalista. Furono i movimenti rivoluzionari del ’48 a gettare il seme del nazionalismo nelle coscienze dei popoli che iniziarono così a definirsi italiani, sloveni, croati e serbi.
Con la terza guerra d’indipendenza, il Veneto fu ceduto all’impero asburgico che decise di sostenere le popolazioni slovene e croate a danno di quella italiana. Nacque, così, il movimento irredentista italiano che mirava a riconquistare i territori perduti. Un movimento che acquistò ancora più forza quando, nel 1861, l’Unità di Italia non portò all’annessione dell’Istria. Tale riconoscimento avvenne, anche se solo in linea teorica, alla fine della Prima Guerra Mondiale con la firma del Patto di Londra. Nella realtà, infatti, fu seguito il principio di nazionalità suggerito dalla dottrina Wilson per cui la città di Fiume e la Dalmazia passarono sotto il controllo del neonato regno jugoslavo.
L’epoca fascista
L’affermazione del regime comunista nei territori slavi e del fascismo in Italia inasprirono gli atteggiamenti nazionalisti. In entrambi i casi le minoranze furono costrette a un programma di assimilazione culturale dove non venivano addirittura perseguitate.
Nel 1941, in piena Seconda Guerra Mondiale, l’Italia partecipò all’invasione della Jugoslavia. Operazione che portò allo smembramento del Paese e all’annessione all’Italia di parte della Slovenia, parte della Croazia e parte della Dalmazia. Furono anni atroci in cui si consumarono numerosi crimini di guerra tra croati e serbi e dagli italiani contro gli sloveni. La resistenza slovena conobbe più volte la dura repressione dell’esercito italiano.
Con l’armistizio del settembre 1943, la situazione politico militare si ribalta. I tedeschi e gli italiani vengono cacciati dai territori occupati grazie all’offensiva dell’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia. I miliziani entrano nei territori italiani: a Trieste, Gorizia, Fiume e Pola.
Fu allora che si consumò quello che tutti conosciamo come l’eccidio delle foibe. Centinaia di italiani e di oppositori al regime di Tito furono gettati negli inghiottitoi, talvolta ancora vivi.
Perché ricordiamo gli eccidi delle foibe il 10 febbraio
Il 10 febbraio 1947 l’Italia firmò il Trattato di Parigi che pose definitivamente fine alle ostilità. Le condizioni del trattato previdero, tra l’altro:
- il ripristino dei confini dell’Italia risalenti al 1° gennaio 1938
- la cessione alla Jugoslavia dei territori conquistati
- la cessione di parte del territorio di Trieste
- la rinuncia dell’Albania
Fu stabilito, inoltre, che gli italiani residenti nei territori persi avrebbero perso la cittadinanza italiana e che la Jugoslavia avrebbe potuto pretendere la migrazione degli italiani del proprio territorio entro un anno.
In copertina foto di Neil Morrell da Pixabay